Carlotta Sami, portavoce UNHCR Italia
per Fondazioni, febbraio 2021
UNHCR, l’Agenzia ONU per i Rifugiati, ha di recente compiuto 70 anni. Nata il 14 dicembre 1950, per un mandato triennale di assistenza ai cittadini europei fuggiti dalle loro case, a causa del conflitto mondiale, da allora non ha però mai smesso di sostenere i rifugiati di tutto il mondo. «Siamo molto orgogliosi del lavoro di protezione e assistenza che abbiamo svolto in questi decenni e siamo senz’altro pronti ad affrontare le nuove sfide, come gli impatti del cambiamento climatico o della pandemia da Covid-19». Lo dichiara Carlotta Sami, portavoce UNHCR Italia.
Quali sono i numeri dell’accoglienza dei rifugiati nel mondo?
Negli ultimi dieci anni diverse crisi hanno contribuito al massiccio sfollamento di persone. Siamo ormai giunti a oltre 80 milioni di persone fra rifugiati e sfollati. È il risultato di due fattori principali: il primo riguarda le nuove preoccupanti crisi verificatesi lo scorso anno, in particolare nella Repubblica Democratica del Congo, nella regione del Sahel, in Yemen e in Siria, quest’ultima responsabile dell’esodo di 13,2 milioni di rifugiati, richiedenti asilo e sfollati interni, più di un sesto del totale mondiale; il secondo fattore è relativo al particolare caso dei cittadini venezuelani: sono 3,6 milioni gli sfollati che si trovano al di fuori del proprio paese. Molti di loro non sono legalmente registrati come rifugiati o richiedenti asilo, ma necessitano comunque di una qualche forma di protezione.
Lo statuto di rifugiato è un diritto che compie 70 anni (Convenzione Ginevra 1951). Come è cambiato il riconoscimento di questo diritto?
Di recente l’UNHCR ha compiuto 70 anni. Eppure, non avremmo mai voluto celebrare questa ricorrenza; se siamo ancora qui significa che la L’ comunità internazionale ha fallito nel suo obiettivo di creare un ordinamento globale più giusto e sicuro. Se cessassero i conflitti, se i rifugiati potessero tornare a casa in sicurezza, se gli Stati rispettassero i loro obblighi di diritto internazionale in materia di asilo e il principio di non respingimento, allora noi dell’UNHCR avremmo molto meno di cui preoccuparci. Le soluzioni come il ritorno volontario, l’integrazione e il reinsediamento non riescono a tenere il passo dei nuovi esodi forzati. Abbiamo bisogno di una maggiore condivisione delle responsabilità a livello internazionale, altrimenti questo divario potrebbe diventare incolmabile.
Oggi, soprattutto in Italia, spesso l’accoglienza si affianca alla “diffidenza” nei confronti dell’immigrato, perché? Rispetto al passato c’è un atteggiamento di maggiore ostilità nei confronti dell’immigrato?
In Italia e in Europa, oggi, il dibattito su rifugiati e migranti è fonte di profonde divisioni, è troppo politicizzato. La percezione prevalente, alimentata dalla retorica politica, è che la “crisi” dei rifugiati affligga soprattutto i paesi ricchi. La paura dell’invasione, alimentata ad arte, crea una percezione alterata. In realtà, l’85% di chi è in fuga vive ed è assistito nei paesi più poveri, nelle periferie, nelle regioni più vicine alle aree di conflitto e, la maggior parte, non vuole venire in Europa ma vorrebbe rientrare al più presto nei propri luoghi di origine.
L’esplosione della pandemia come si è ripercossa sull’emergenza profughi?
Più di 80 milioni di persone, tra profughi o sfollati, appartengono alle categorie più colpite dal Covid-19 e dalle sue conseguenze: almeno l’85% si trova in Paesi poveri e con strutture sanitarie deboli. Tre quarti dei rifugiati vivono in campi sovraffollati, insediamenti, rifugi o centri di accoglienza nelle aree urbane, dove non hanno accesso a un’adeguata assistenza sanitaria e servizi igienico-sanitari. Il distanziamento sociale e il lavaggio delle mani in acque pulite sono difficili, se non impossibili. Per combattere efficacemente qualsiasi emergenza sanitaria pubblica, tutti – compresi rifugiati, richiedenti asilo e migranti – devono avere accesso a strutture e servizi sanitari. Le persone in fuga, in alcuni casi, sono state ostacolate nei loro spostamenti e gli esodi sono rallentati, ma gli sfollamenti sono continuati, nonostante la pandemia. Il Covid-19 ha avuto un impatto su molte delle attività che svolgiamo e, certamente, non ha fermato le guerre.
Conflitto siriano: a che punto siamo e qual è la situazione ad oggi degli sfollati e dei rifugiati siriani?
Sono passati 10 lunghissimi anni dallo scoppio del conflitto. Per i rifugiati e gli sfollati siriani ogni giorno è una emergenza. 11 milioni di persone in Siria necessitano di assistenza umanitaria, oltre l’80% vive al di sotto della soglia di povertà. Più di 5,5 milioni di siriani sono ospitati in Turchia, Libano, Giordania, Iraq ed Egitto. Il Covid-19 ha ulteriormente aggravato la loro condizione: per i rifugiati e gli sfollati siriani la pandemia sta rappresentando una catastrofe soprattutto dal punto di vista sociale ed economico; moltissimi hanno perso la loro unica fonte di reddito a causa delle restrizioni adottate per contenere la pandemia. Sarà quindi fondamentale garantire l’inclusione dei rifugiati e degli sfollati interni nei piani di ripresa, assicurando loro l’accesso a sanità pubblica, istruzione e mercato del lavoro.
Lo ius migrandi oggi, nell’atto pratico, ha ancora validità o è un diritto che andrebbe riformulato?
È bene ricordare che esiste una differenza nel tipo di inquadramento giuridico di cui godono migranti e rifugiati. Entrambi godono dei diritti umani fondamentali, ma i rifugiati godono di diritti specifici riconosciuti dalla Convenzione di Ginevra del 1951. L’UNHCR ritiene che sia importante mantenere la distinzione tra rifugiati e migranti, per meglio difendere i diritti specifici di entrambi. I rifugiati, indipendentemente da dove vivano, dai paesi che attraversano e dalla regolarità dei loro spostamenti, godono di diritti specifici giustificati dall’impossibilità di poter fare ritorno nei propri paesi di origine senza che la loro vita sia messa in pericolo. La gestione delle migrazioni internazionali è invece regolata da altri accordi e legislazioni, incluse le norme che prevedono il rimpatrio dei richiedenti asilo la cui domanda non è stata accolta. Gestire i flussi di persone che migrano necessita dunque di risposte differenziate e coerenti che assicurino il rispetto dei diritti umani fondamentali, l’accesso alla procedura d’asilo e la protezione delle persone più vulnerabili. Proteggere i rifugiati e, al contempo, trovare soluzioni per i migranti è possibile, opportuno anche per le società dove maggiore è il benessere e compatibile con una gestione efficace delle frontiere.
Da Fondazioni, febbraio 2021