Intervista a Irene Baldriga, docente di Didattica Museale all’Università La Sapienza di Roma
per Fondazioni dicembre 2020
«Il concetto di bellezza ha subìto un’evoluzione molto complessa: dal suo quasi ripudio, in quanto categoria estetica, avvenuto nel corso del ‘900, si è giunti a una sua costante ricerca e idealizzazione. A mio parere, è nella diversa articolazione che oggi ha assunto il concetto di bellezza che si può legittimamente parlare di un “diritto”». Lo dichiara Irene Baldriga, storica dell’arte e ricercatrice, presidente emerito dell’Associazione Nazionale Insegnanti di Storia dell’Arte e autrice di “Estetica della cittadinanza. Per una nuova educazione civica”, suo ultimo libro edito da Le Monnier Università.
«La bellezza, intesa come accesso consapevole ai beni culturali e al paesaggio, costituisce una dimensione di crescita personale, di maturazione del senso di appartenenza e di identità di ciascun cittadino – prosegue. Di questo diritto lo Stato e le comunità dovrebbero farsi carico, garantendo a ciascuno le stesse opportunità di accesso ai beni culturali, il che significa pari condizioni economiche e culturali, possibilità di conoscere e approfondire, accostarsi ai nostri “luoghi del cuore”, con strumenti di lettura trasmessi ai cittadini sin dalla prima infanzia». Infanzia, adolescenza e maturità, le fasi di crescita dell’individuo che nel suo percorso impara a essere cittadino. In questo cammino di formazione la scuola che ruolo ha? «La scuola ha un ruolo fondamentale, insostituibile» risponde Baldriga, che definisce l’istituzione scolastica «un luogo di accoglienza, uno spazio di dialogo e di bellezza (e qui va precisato: bellezza come ricchezza di stimoli, equità, opportunità)».
«Maria Montessori ha dedicato una parte importante delle sue riflessioni all’importanza della bellezza nell’educazione dei bambini – continua. Dobbiamo insegnare ai giovani che la bellezza è alleata della giustizia e della democrazia e che la capacità di apprezzare un’opera d’arte, come un paesaggio o un brano musicale, è parte sostanziale dell’esercizio della cittadinanza. La bellezza ci offre l’opportunità di guardare e di vivere il mondo in un modo diverso, comprendendo il senso del bene comune, il valore della profondità e dell’armonia che possiamo riconoscere in un’equazione matematica così come in un sonetto di Shakespeare. La scuola dovrebbe innanzitutto rendersi bella, attraente e desiderata. Si dovrebbe investire molto di più nella cura degli ambienti educativi, rendendoli davvero speciali. Al tempo stesso, sarebbe importante trasformare questi luoghi in porte costantemente protese verso il territorio: condurre bambini e ragazzi alla scoperta dei loro ambienti di vita, nei boschi, nelle piazze, nelle cattedrali e certamente nei musei, che possono essere meravigliosi contesti di esplorazione, ma anche di incontro, di gioco e di partecipazione».
La bellezza, intesa come accesso consapevole ai beni culturali e al paesaggio, costituisce una dimensione di crescita personale e di maturazione del senso di appartenenza e di identità di ciascun cittadino
Oltre a una scuola più bella e stimolante, secondo Baldriga, i giovani hanno bisogno di entusiasmo e di buone ragioni. «I giovani sono prontissimi ad abbracciare la causa della bellezza e del bene comune. C’è un incredibile patrimonio di energie, di buone idee e di sincero impegno nei nostri ragazzi. Ne ho colto tutte le potenzialità nella scuola come nell’università. Detto questo, va sottolineato con grande forza il fatto che non tutti i ragazzi hanno le stesse opportunità di apprezzare il valore della bellezza e della memoria. Per molti di loro l’accesso al patrimonio culturale è negato: la storia dell’arte si studia in Italia soltanto in alcuni indirizzi della scuola secondaria superiore; all’estero, la disciplina è per lo più facoltativa o abbinata ad attività creative, ludiche, e non viene insegnata con metodologie appropriate. Si aggiunga il fatto che la divulgazione culturale di qualità è ormai relegata a canali on demand, quasi fosse una riserva di caccia. Se vogliamo che i giovani realmente abbraccino la causa del patrimonio culturale e ne diventino attori, testimoni ed eredi, è necessario ripensare con serietà (e adeguate risorse) le nostre politiche educative e culturali. Non bastano le iniziative, pur lodevoli, di organismi internazionali come Unesco o il Consiglio d’Europa: i loro documenti hanno un’efficacia di puro orientamento.
Occorre una seria e determinata azione delle politiche nazionali che possa tradurre quelle indicazioni in misure concrete. Ma non senza dimenticare la società civile. L’Università si può impegnare attraverso il canale della Terza Missione, ma uno schieramento delle realtà associative e delle fondazioni con missione educativa potrebbe fare la differenza. Auspico un’alleanza su questo fronte». Una precisa postura fisica e mentale, un modo di fare e di interagire con gli altri, in piena sintonia con la comunità e l’ambiente, questo è il “cittadino estetico” che Irene Baldriga descrive nei suoi testi e che diventa protagonista assoluto della sua filosofia.
I giovani sono prontissimi ad abbracciare la causa della bellezza e del bene comune. C’è un incredibile patrimonio di energie, di buone idee e di sincero impegno in loro
«Definisco “cittadino estetico” il cittadino che trae ispirazione dalla bellezza che lo circonda, che apprezza il valore dell’identità e il sentimento che permeano le colline dove è nato, le strade del suo borgo, i monumenti intorno ai quali ha giocato quando era bambino. Questo sostanziale rispetto delle cose e delle persone si matura e si accresce nella contemplazione del patrimonio vicino, ma anche nell’immaginazione di ciò che è lontano. Il cittadino estetico possiede una facoltà visionaria, non conosce i confini culturali perché apprende a varcarli, esercita la pratica dell’ascolto, pratica il silenzio per ascoltare i luoghi e le comunità, cura un’estetica del linguaggio e coglie la ricaduta di ogni azione, parola e pensiero in una prospettiva di responsabilità condivisa. Sentiamo continuamente parlare della necessità di uno sviluppo sostenibile, da articolare in ambito economico, ambientale, ma soprattutto sociale».
Il cittadino estetico è dunque, secondo Baldriga, il principale attore di questa visione umanitaria di futuro e si esercita costantemente in una “palestra sentimentale di cittadinanza”, che rappresenta «l’esperienza dell’opera d’arte che può rivelarsi un viaggio affascinante nelle emozioni proprie e altrui. L’arte ci educa alle emozioni, ci allena a provarle e a riconoscerle, ci invita alla commozione e alla solidarietà. E per questo ci coinvolge in un percorso fondamentale di sviluppo della consapevolezza civica e della pratica di un’autentica cittadinanza attiva».
Di fronte a un dipinto, a un manufatto artistico di qualsiasi epoca, «noi ci poniamo in una condizione di ascolto, di apertura verso una diversità, una realtà che è altra da noi – conclude -. Questa apertura ci rende innanzitutto vulnerabili, permeabili alla carica emozionale e al messaggio dell’opera d’arte. Accogliamo quella diversità, la facciamo nostra, ci poniamo in dialogo con essa. Questa forma di compassione e di permeabilità rappresenta una qualità dell’esperienza dell’opera d’arte che andrebbe compresa e valorizzata nella formulazione di un’educazione civica che punti a una reale comprensione del concetto di appartenenza a una comunità»
Dalla rivista Fondazioni novembre-dicembre 2020