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Persone e comunità sono gli attori del cambiamento: Intervista a Carola Carazzone, segretario generale di Assifero

“E’ nella qualità delle risorse che mettono a disposizione, non nella quantità, che le fondazioni e gli enti filantropici possono fare la differenza nel supportare le organizzazioni del Terzo Settore ad affrontarele grandi sfide del nostro tempo, prima tra tutte la lotta alle diseguaglianze”.  Esordisce così Carola Carazzone, segretario generale di Assifero alla domanda sul ruolo che svolge la filantropia istituzionale nel contrasto delle disuguaglianze.

Quale ruolo possono giocare le fondazioni come intermediatori fra Istituzioni e società civile per garantire pari diritti e pari opportunità?

Parlando di disuguaglianze e diritti fondamentali, è chiave l’approccio delle capacitazioni (capability approach) sviluppato dal premio Nobel Amartya Sen: non una ricetta unica, standardizzata, da applicare in fotocopia, ma la considerazione delle persone per la loro unicità, per ampliare, allo stesso tempo, opportunità di scelta e capacità. Un esempio di questa logica operativa sono i progetti di “capitali di capacitazione” promossi da Fondazione Comunità di Messina sia in ambito housing sociale che di supporto alla prima infanzia. Questo è un esempio di come le fondazioni possano giocare un ruolo molto importante come connettori tra Istituzioni e società civile, come attivatori autorevoli e credibili di capitale sociale, ma anche come catalizzatori di innovazione. Perché le problematiche di cui le fondazioni filantropiche scelgono di occuparsi sono esattamente quelle dove lo Stato, il mercato, e le altre istituzioni hanno fallito. Problematiche complesse, incancrenite, che necessitano di approcci sistemici, intersezionali, partecipativi e collaborativi. Quindi con umiltà e coraggio, le fondazioni filantropiche possono osare e sperimentare, assumersi rischi, ma soprattutto hanno la possibilità di creare quelle condizioni abilitanti imprescindibili per l’innovazione sociale, anche attraverso modalità di finanziamento diverse dai bandi, ma orientate alla missione, che investano sulle organizzazioni e non su progetti.

Recentemente ha utilizzato l’espressione “changemaker” per riferirsi alle organizzazioni della società civile che si occupano di promuovere il bene comune. Come si realizza concretamente questo cambiamento?

Sono, da sempre, profondamente convinta che ciascuno di noi possa, nel suo piccolo o grande, fare la differenza. Non è necessario essere Premi Nobel o geni o eroi per essere attivatori e attori di cambiamento. Change-making è un concetto non elitistico, che va democratizzato. È un’attitudine, un modo di essere a cui ci si può educare. Ci sono alcuni elementi che emergono ormai costantemente. Le organizzazioni del Terzo settore, per essere capaci di innovazione sociale, hanno bisogno di finanziamenti per la missione che supportino la loro “struttura”, intesa come veicolo fondamentale per il raggiungimento della missione. Parliamo quindi di flessibilità e non output vincolati, efficacia e non efficienza, processi e non progetti, organizzazioni e non attività. L’efficienza non è un criterio di innovazione sociale, soprattutto se è misurata come percentuale dei costi di struttura. Il Terzo settore italiano per sviluppare il proprio potenziale innovativo ha bisogno vitale di core support, da usare in modo flessibile, non vincolato a progetti, per affrontare le nuove sfide e le nuove opportunità, sviluppare organizzazioni forti, capaci, resilienti, creative e innovative e approcci collaborativi (non competitivi) e sistemici. È fondamentale investire sulle reti, sulle comunità di pratica, sugli scambi e condivisioni, sulla circolazione delle idee, il confronto, l’accelerazione dei processi di apprendimento. Le fondazioni filantropiche, a differenza di altri donatori, hanno la libertà e il potere di prendere l’iniziativa per sviluppare le condizioni abilitanti per il cambiamento.

L’emergenza Coronavirus ha reso ancora più evidenti le disuguaglianze all’interno della nostra società, finita la crisi da cosa bisognerà ripartire?

La pandemia Covid-19 avrà un impatto profondo a livello sociale, economico, culturale, oltre che sanitario, con prospettive ancora difficili da decifrare. Uno degli elementi da cui ripartire sarà assicurarsi di non far collassare il Terzo settore e le sue organizzazioni, parte fondamentale del tessuto sociale. In questo contesto, le fondazioni e gli enti filantropici hanno la possibilità di giocare un importante ruolo, collaborando con gli enti del Terzo settore in modo nuovo, basato sulla fiducia e non sul controllo, finanziando le organizzazioni e non solo i singoli progetti, così da poter consolidare strutture più forti e resilienti in particolare a protezione delle persone più vulnerabili.

La diseguaglianza è divenuta quasi un dato di fatto nella società odierna, lei crede che non susciti più indignazione?

No. Non lo credo. Sono orgogliosa di come il nostro Paese ha affrontato l’emergenza Covid-19, con precise scelte di campo a protezione dei più vulnerabili. Penso ad esempio all’immagine che ha fatto il giro del mondo dei senzatetto messi all’addiaccio al posto delle macchine per delimitarne il distanziamento sociale in un parcheggio in una Las Vegas piena di alberghi vuoti e, per contro, all’incredibile lavoro che hanno continuato a fare per i senza fissa dimora Binario95, la Comunità di Sant’Egidio e Caritas nel nostro Paese. Sono forti in noi i germi della solidarietà e della protezione dei più vulnerabili. I valori profondi di una società in cui l’essere umano conta in quanto tale, indi-pendentemente se ha una malattia, una disabilità, un’età piuttosto che un’altra. Ne abbiamo avuto prova ogni giorno, durante l’emergenza Covid-19, grazie all’impegno di persone ed organizzazioni incredibili che agiscono per combattere le diseguaglianze, coinvolgendo le proprie comunità, i cittadini e le Istituzioni.

Editoriale tratto dal numero Marzo-aprile della rivista Fondazioni