Intervista a Paola Delmonte
per Fondazioni febbraio 2020
Dare una risposta concreta al disagio abitativo di alcune fasce della popolazione è lo scopo del social housing «ma non è il suo unico obiettivo», spiega in questa intervista Paola Delmonte, chief business development officer Cdp Investimenti Sgr che dal 2011 si occupa di housing sociale.
Perché Cdp 10 anni fa ha ritenuto importante dare impulso in Italia al settore dell’edilizia residenziale locativa a canone calmierato? In che misura hanno contribuito e contribuiscono le Fondazioni di origine bancaria?
Cassa Depositi e Prestiti (CDP), di cui ricorrono quest’anno i 170 dalla nascita, è da sempre un’istituzione al servizio dei territori e dell’economia sociale di mercato, un operatore nazionale al fianco degli enti locali, una cinghia di trasmissione tra il settore pubblico ed il settore privato per stimolare quegli interventi strategici e strutturali di cui né il pubblico né il privato sarebbero in grado di occuparsi autonomamente. E’ stato quindi naturale per Cdp una decina di anni fa raccogliere l’istanza proveniente dai territori, proprio per il tramite delle Fondazioni di origine bancaria, di dare una risposta a quelle forme di disagio abitativo che interessavano soprattutto la “fascia grigia” di popolazione, quella esclusa dal sostegno dell’Edilizia Residenziale Pubblica ma non per questo in grado di soddisfare sul mercato le proprie esigenze abitative in presenza di un’offerta carente o inaccessibile ai budget familiari. Le Fondazioni di origine bancaria hanno avuto un ruolo essenziale in questo processo, spesso come first mover e come portatori di precise istanze rivenienti dalla loro profonda conoscenza dei territori di riferimento. Senza trascurare l’importante apporto in termini di risorse finanziarie con cui le Fondazioni hanno contributo all’intero progetto. E’ così che si è sviluppato il movimento del social housing, che oggi muove 3 miliardi di euro di risorse, di cui 2 sottoscritti ed attivati da CDP con il Fondo Investimenti per l’Abitare (FIA) e 1 sottoscritto o promosso a livello territoriale in gran parte dal sistema delle Fondazioni, per un programma che a regime traguarda 20.000 alloggi sociali ed 8.500 posti letto in residenze universitarie e temporanee convenzionate.
A che punto siamo con il Piano nazionale di edilizia abitativa? Quali sono le aspettative di sviluppo di housing sociale sul territorio italiano per i prossimi anni?
Quando si parla di Piano nazionale di edilizia abitativa (PNEA), di cui il sistema dell’Edilizia Residenziale Sociale privata (ERS) fa parte, l’orizzonte si estende a tutto il tema “casa”, sia quello oggetto delle politiche pubbliche sia quello di appannaggio dei soggetti privati che operano con logiche di interesse pubblico. Sul fronte dell’intervento pubblico, da qualche tempo assistiamo con interesse ad un cambio di paradigma rispetto a dieci anni fa: allora la spesa pubblica era in profonda ritirata dal capitolo “casa”, oggi abbiamo programmi pubblici come il Piano Periferie o il Piano Rinascita Urbana che si propongono di agire in sinergia e con logica di co-finanziamento con i progetti privati. Questo può aiutare a tenere alta l’attenzione verso il settore del social housing e, più in generale, verso la rigenerazione urbana ad impatto sociale, dove si continua a registrare una domanda robusta, soprattutto nei territori che esprimono un saldo positivo nei flussi di popolazione e con particolare riferimento all’edilizia residenziale tematica, come quella universitaria gli studenti fuori sede e per la crescente popolazione degli anziani autosufficienti.
Nel Piano industriale 2019- 2021 di Cdp grande enfasi è posta sul tema della sostenibilità: come si innestano i progetti di housing sociale in questa chiave?
Il movimento del social housing nasce e si sviluppa per dare una risposta al disagio abitativo in termini di sostenibilità per le giovani coppie, le famiglie numerose o monoparentali, gli studenti fuori sede, gli anziani soli, gli immigrati regolari, laddove la sostenibilità si misura concretamente in termini di impatto della voce “abitazione” sui budget dei fruitori del servizio abitativo. Oggi la sostenibilità è un concetto più ampio, che permea le scelte di politica economica e i driver della crescita e dello sviluppo delle economie occidentali. In questo senso i progetti di housing sociale si innestano a pieno titolo nel solco della sostenibilità ed, anzi, in un certo senso, ne sono stati i pionieri: la riduzione delle disuguaglianze, la rivitalizzazione delle periferie, l’accesso ad un welfare più diffuso – solo per citare le principali cifre del movimento del social housing – sono tra i principali obiettivi dell’Agenda ONU 2030 per lo Sviluppo Sostenibile.
L’housing sociale, oltre a offrire una soluzione abitativa per quella “fascia grigia” di popolazione che non può permettersi una casa a prezzo di mercato ma che non è neanche idonea per accedere all’edilizia popolare, genera e/o rinvigorisce le comunità?
Certamente. Il movimento del social housing non si è posto solo l’obiettivo di aumentare l’offerta abitativa accessibile alla “fascia grigia” della popolazione, ma si è fatto portatore di un vero e proprio “nuovo modello dell’abitare”, fondato sulla creazione di comunità coese e solidali che trovano nelle relazioni umane una fonte importante di collaborazione e sostentamento in grado di auto-generare un nuovo welfare di comunità, che si affianca alle forme più tradizionali di sussidiarietà in un processo olistico che migliora la qualità della vita ed il benessere nelle nostre città.
Dalla rivista Fondazioni gennaio – febbraio 2020