Intervista a Mariella Enoc presidente Ospedale Bambino Gesù
per Fondazioni dicembre 2019
Il futuro è una storia di bambini”, questo lo slogan scelto per le celebrazioni dei 150 anni di attività dell’ospedale pediatrico Bambino Gesù, festeggiati lo scorso marzo. Noto come “l’ospedale del Papa”, il polo capitolino è una struttura di eccellenza europea con oltre 1.900.000 prestazioni ambulatoriali l’anno. A pilotare questa nave da circa 4 anni è Mariella Enoc, 71 anni, novarese, definita da Papa Francesco “la mamma dei suoi bimbi ricoverati”, lei in realtà confessa: «Più che mamma, mi sento nonna».
Il Bambino Gesù è un ospedale centro di eccellenza nella ricerca scientifica, ma anche un luogo pieno di umanità per i bambini di tutto il mondo: come si riesce a far coesistere queste due anime?
Il primo compito di un ospedale è curare e, se possibile, guarire. È quello che ci chiedono i bambini e i genitori quando arrivano in uno dei nostri centri, con la paura di dover affrontare il “mostro” della malattia e l’angoscia di non sapere quale sarà l’esito. Prendo spesso in prestito le parole di un grande cardiochirurgo, Giancarlo Rastelli, secondo il quale: “La prima carità al malato è la scienza”. Posso dire con orgoglio che oggi il Bambino Gesù è uno dei più grandi Centri di cura e di ricerca pediatrica in Europa, per il numero e la complessità dei casi trattati, per la qualità e la quantità della ricerca scientifica. È l’unico centro in Europa in grado di eseguire qualsiasi tipo di trapianto pediatrico di organi, cellule e tessuti. Siamo inoltre un punto di riferimento in Europa per la ricerca sulle malattie rare e ultra-rare, le cosiddette malattie “orfane”, senza nome e senza diagnosi. I nostri medici raggiungono risultati straordinari, ma non potrebbero ottenerli senza la fiducia e la collaborazione di pazienti e familiari. Ho imparato che anche un bambino di 6 anni è in grado di capire come funziona una terapia altamente innovativa come quella CAR-T contro la leucemia – sia pure spiegata attraverso immagini fantasiose di cellule “guerriere” o “poliziotti buoni” che combattono contro cellule “cattive” -, se si ha la pazienza e la volontà di coinvolgerli nel processo di cura. E sono propri i bambini, quando si sentono accolti e amati da tutto il personale ospedaliero, a dare coraggio e forza agli adulti con i loro sorrisi e i loro abbracci.
Nell’ambito della cura quanto è importante stabilire una relazione con il paziente?
È fondamentale. È capitato che dei pazienti abbiano cambiato struttura ospedaliera, pur in presenza della stessa risposta medico-scientif ica, ma in cerca di una relazione migliore con medici e infermieri. Una buona relazione con tutto il team che segue il paziente – oggi ci si allontana sempre di più dall’immagine dell’unico medico curante, essendo necessaria la compresenza di tante specialità – segna la differenza tra una partecipazione attiva al processo di cura e una passiva, che può dar luogo ad ulteriori problemi o all’aggravarsi di quelli iniziali. E una buona relazione diventa indispensabile quando la scienza medica è costretta ad arrendersi. Abbiamo tanti successi, ma non tutti i bambini riescono a guarire. Alcuni, purtroppo, non riescono nemmeno a sopravvivere. Ricordo sempre con commozione la storia di Matilde. Ero accanto alla madre nel momento in cui la bambina spirava, in una situazione di grande dolore ma anche grande dignità e compostezza. Ho detto alla mamma: “Mi dispiace, l’Ospedale ha fallito”. Lei mi ha risposto: “No, non ha fallito, perché mia figlia qui è stata amata fino all’ultimo respiro”.
L’ospedale si prende cura di bambini e famiglie di tutte le nazionalità: come superate l’ostacolo della lingua e talvolta anche la distanza tra culture molto diverse?
L’accoglienza al Bambino Gesù è un vero e proprio “sistema” nel quale sono coinvolte tante figure e professionalità diverse. Ne fanno parte integrante anche numerosi volontari che offrono un contributo indispensabile per l’ospitalità dei genitori e dei bambini che devono restare a Roma molto a lungo. Solo nel 2018 al Bambino Gesù sono stati effettuati oltre 2.000 mila ricoveri e di questi circa il 29% arrivava da fuori regione, mentre il 15% era di nazionalità straniera. Sono state ospitate quasi 4.500 famiglie di pazienti in difficoltà nel sostenere le spese di alloggio, grazie a 19 case di accoglienza e 200 stanze messe a disposizione da albergatori e altre strutture. 30.000 bambini e ragazzi sono stati accolti nelle ludoteche dell’ospedale e oltre 3.000 alunni seguiti dalla scuola in ospedale. Nello stesso anno siamo stati in grado di offrire quasi 6.000 mediazioni culturali in 52 lingue. Anche se il nostro è “l’ospedale del Papa”, mettiamo in contatto le famiglie che lo richiedano con i propri ministri di culto, perché non restino sprovvisti di assistenza spirituale. La chiave di tutto è il rispetto e… tanta pazienza!
Dalla rivista Fondazioni novembre-dicembre 2019