Intervista a Emanuela Bonini, ricercatrice
per Fondazioni dicembre 2019
In Italia dal 2014 al 2018 sono arrivati 70.547 minori stranieri non accompagnati, ragazzi e ragazze che hanno lasciato il paese di origine affrontando spesso pericoli, detenzione, violenza, sfruttamento e abusi. La ricerca “A un bivio”, curata dalla Fondazione Ismu, affronta il difficile tema della transizione all’età adulta dei minori. Lo fa partendo da elementi apparentemente semplici come le aspettative e i desideri di questi ragazzi che, come i loro coetanei di tutto il mondo, aspirano a migliorare le loro condizioni e a lasciare un segno. Non sono solo guerre e povertà a spingere questi ragazzi a lasciare il proprio paese ma, a volte, è anche la ricerca di maggiori opportunità, alla pari delle centinaia di migliaia di ragazzi europei che partono ogni anno per studiare o lavorare. Permettere a chi arriva di realizzare i propri sogni è un elemento cruciale per creare integrazione; ma non solo: arricchisce chi ospita di nuovi punti di vista, nuove idee e nuove visioni. Agevolare la transizione all’età adulta dei minori stranieri non accompagnati è doveroso per il rispetto dei diritti dell’uomo ed è fondamentale per costruire una società più coesa, anche nella sua diversità. Ne abbiamo parlato con Emanuela Bonini, sociologa ricercatrice e project manager presso la Fondazione Ismu.
La ricerca è incentrata sul concetto di triplice-transizione: cosa significa e cosa evidenzia questo approccio?
I ragazzi e le ragazze stranieri non accompagnati vivono una condizione di “triplice transizione”: la transizione dall’adolescenza all’età adulta che accomuna ogni essere umano; la transizione legata alla migrazione che li porta al distacco dal proprio contesto di origine e al doversi costruire una nuova vita in un contesto culturale e sociale diverso; infine, la transizione riguardante il superamento dei traumi vissuti prima, durante o dopo il viaggio compiuto, con l’attivazione di fattori di resilienza che li conducano a generare una situazione di nuovo o ritrovato benessere individuale. La transizione all’età adulta, come per tutti gli adolescenti, rappresenta un periodo complesso dal punto di vista biologico, psicologico e sociale. Allo stesso tempo, il concetto e l’esperienza di adolescenza possano divergere anche ampiamente tra culture e all’interno delle stesse, con variazioni significative riguardo l’età in cui si è ancora considerati “bambini” o si è trattati da “adolescenti” e “giovani adulti”.
Un capitolo della ricerca è dedicato alle aspettative, desideri e futuro dei minori stranieri non accompagnati: quali sono a suo avviso le risposte più interessanti su questo tema?
Nella scrittura del Rapporto e nell’analisi delle interviste abbiamo deciso di partire proprio dalle aspettative dei minori, questo per mettere al centro i desideri dei ragazzi e delle ragazze che sono costrette a partire per ragioni economiche o di salvaguardia della propria incolumità. Dietro questi motivi ci sono anche aspirazioni che giocano un ruolo importante nei percorsi di questi giovani. Talvolta si tratta di desideri ben definiti e chiari come «trovare un’opportunità per una vita migliore» o la necessità di fuggire da un contesto violento. Altre volte i ragazzi non hanno avuto il tempo di maturare un desiderio preciso e questo può rappresentare un ostacolo alla realizzazione di un percorso. Per molti questa rappresenta una possibilità di costruirsi un futuro in Italia, di imparare un lavoro specifico o un mestiere, per le ragazze in particolare il lavoro è visto come opportunità non immaginata. Inoltre, alcuni di loro sperano di poter utilizzare un giorno il bagaglio acquisito nel paese di origine.
Cosa funziona già bene in Italia riguardo l’integrazione dei minori stranieri non accompagnati?
Nel sistema di accoglienza italiano ci sono molti elementi positivi che possono rappresentare dei fattori di successo nel percorso dei MSNA, spesso però questi non sono messi a sistema. Il sistema di accoglienza offre una serie di garanzie ai minori soli, ma la ricerca ha evidenziato che non tutte le esperienze di accoglienza sono uguali, indubbiamente quando questa funziona gioca un ruolo determinante nel percorso di transizione ed inserimento sociale del minore. La scuola e la formazione professionale rappresentano per i ragazzi e le ragazze una tappa fondamentale del proprio percorso di inclusione, sulla quale vogliono investire. Le relazioni formali e informali – sia con gli adulti sia con i pari – rappresentano un sostegno importante per i loro percorsi, in particolare il ruolo dell’educatore o educatrice della struttura di accoglienza e quello dei tutori volontari è riconosciuto come centrale. Abbiamo rilevato esperienze positive anche rispetto all’autonomia abitativa, nelle quali emerge l’importanza di soluzioni di passaggio, come l’accoglienza in contesti familiari o di semi-autonomia supervisionata e supportata.
Su quali aspetti è necessario lavorare maggiormente?
Il primo elemento di attenzione riguarda la possibilità di mettere a sistema le buone pratiche di accoglienza e di inserimento dei minori. In particolare, i fattori che ostacolano la transizione alla vita adulta dei MSNA sono stati individuati nelle lente e complesse procedure per l’ottenimento dei documenti, unite agli eventuali intoppi burocratici, nella finestra di tempo a disposizione che la maggior parte dei MSNA ha, in ragione dell’età al loro arrivo (16-17 anni) e nella difficoltà a ottenere un contratto di lavoro regolare. Emergono inoltre limiti nell’azione informativa e orientativa, in merito alle loro possibilità, anche nell’accesso al mercato del lavoro e della casa, rappresentano un ostacolo aggiuntivo nei percorsi di autonomia e inclusione sociale e incidono sul benessere personale dei minori e neomaggiorenni stranieri.
Cosa può fare la società civile per contribuire all’integrazione dei minori stranieri?
Per prima cosa continuare e aumentare le possibilità di incontro e scambio tra i giovani migranti e rifugiati neomaggiorenni, la popolazione residente e i propri pari, per valorizzare i rapporti formali e informali che nella ricerca hanno rappresentato un elemento positivo nella transizione all’età adulta e combattere i fenomeni di discriminazione, razzismo e xenofobia. Serve, inoltre, continuare a sperimentare – documentando, monitorando e valutando – interventi innovativi e alternativi per giovani migranti e rifugiati neomaggiorenni come ad esempio le soluzioni abitative di semi-autonomia, di carattere familiare o comunitario, nonché le azioni volte alla partecipazione quali quelle effettuate nei centri di aggregazione di vario titolo. Bisogna continuare a fornire assistenza, accompagnamento e supporto ai neomaggiorenni con attenzione ai portatori di bisogni specifici, inclusi i sopravvissuti alla violenza sessuale e di genere attraverso la gestione di servizi specializzati, in collaborazione con le autorità pubbliche. Infine, promuovere e potenziare la partecipazione di giovani migranti e rifugiati – favorendo anche l’inclusione attiva delle ragazze – ad associazioni al fine di contribuire attivamente alla società, difendere i propri diritti e far sentire la propria voce ed opinione influendo sulle decisioni in merito alle politiche che li riguardano.
Dalla rivista Fondazioni novembre-dicembre 2019