Intervista a Ezio Bosso, musicista
per Fondazioni agosto 2019
A soli 4 anni si è avvicinato alla musica grazie al fratello musicista e a una prozia pianista. A 16 anni esordisce come solista in Francia e da lì inizia la sua meravigliosa carriera. La sindrome neurodegenerativa che l’ha colpito nel 2011 non gli impedisce di continuare a suonare e oggi è considerato uno dei compositori e direttori d’orchestra più talentuosi nel panorama musicale internazionale.
Il suo esempio è superare i limiti, non solo nella musica ma anche nella vita. A chi combatte per superare i propri limiti quale messaggio vorrebbe mandare?
In primo luogo, bisognerebbe distinguere i limiti, anche perché penso che il concetto di superarli sia anche eccessivamente abusato. Ci sono i limiti imposti, i limiti oggettivi, fisici, che si superano attraverso l’aiuto, e quelli da riconoscere per migliorare davvero o limiti da superare più che altro lasciandoli alle spalle, da superare dentro di noi. Ma, a mio avviso, quelli davvero da superare dovrebbero essere quelli imposti dal pregiudizio, dall’ignoranza e dalla stupidità. E questo credo si possa fare attraverso studio, dedizione, impegno e senso di responsabilità verso i colleghi e il pubblico; dovrebbe essere l’impegno costante di ogni musicista, un mestiere in cui non si può smettere mai di studiare e imparare, perché non si è mai davvero arrivati. Il limite si sposta sempre in avanti. E quello del musicista è un mestiere che ho abbracciato con gioia contro ogni aspettativa e buon senso, per cui il superare i miei limiti è sempre stato il mio sforzo continuo, prima come ora, insito nel mestiere che ho caparbiamente voluto e senza il quale non riesco proprio ad immaginarmi. Ma non vi è una ricetta, un segreto né vi è nulla di eroico o esemplare in questo: è una scelta personale, professionale, molto intima e perciò incomunicabile. Mi arrabbio con chi non vuole lavorare secondo questa logica, questo sì, perché, ribadisco, questo non è un mestiere che consente di rilassarsi: a casa, finite le ore di lavoro ufficiale e retribuito, diciamo quello visibile agli altri, si deve studiare, spronarsi, andare avanti, ma è una logica che non si può imporre, per questo ho fondato una mia orchestra, per vivere e lavorare con persone che condividono questo stesso approccio alla musica.
Un’orchestra per funzionare ha bisogno di condividere regole e visone. Qual è la vostra esperienza?
Siamo una grande famiglia, siamo tutti liberi professionisti che credono nell’indipendenza e nello sforzo congiunto, corale, per ottenere sempre il risultato migliore possibile; crediamo nell’orchestra come grande famiglia, nucleo fondante di una società migliore e in ultima sintesi metafora perfetta di comunità operosa e virtuosa. Dopo due anni di successi, un bel disco pubblicato in tutt’Europa e tanti sold out, ora cerchiamo casa, come ogni brava famiglia che si rispetti. E dato che finora il pater familias sono stato io e i nostri datori di lavoro sono stati il pubblico italiano che ci ha sostenuto con affetto, magari qualche nuovo sostenitore meno casuale.
Secondo lei in Italia quali sono le azioni da mettere in campo per sostenere la cultura, anche musicale, garantendo a tutti accesso e pari opportunità?
La cultura è lo strumento per capire il mondo che ci circonda, soprattutto i suoi problemi. Da più parti, in tutto il mondo, si dice ormai, sempre più convintamente, che un elettore ignorante non è in grado di svolgere liberamente il proprio sacrosanto diritto al voto. I nostri padri lo sapevano bene: infatti, il suffragio universale è sempre andato di pari passo ad uno sforzo costante di alfabetizzazione e di potenziamento dell’accesso al sapere per tutte le classi sociali. Ora sembra che ce lo siamo scordati. La cultura che è scuola prima, ma poi continuo sviluppo in età adulta anche attraverso l’intrattenimento, come usava fare la Rai d’antan, è sempre l’ultima ruota del carro. La musica poi è una forma di accesso alla cultura strana: da un lato, se vogliamo, è più criptica, ma d’altro canto ha la forza di commuovere, di muovere i cuori con maggiore immediatezza e semplicità; inoltre insegna l’ascolto, che a giudicare dalla vita social e dal dibattito pubblico, è merce sempre più rara e sempre più necessaria. La cultura e la cultura dell’ascolto ci sono necessarie per rimanere davvero democratici e non solo formalmente.
Oggi cultura e cultura dell’ascolto non sembrano andare per la maggiore. Cosa pensa si possa fare per incentivarle?
Potenziarle non è così difficile, basterebbe dedicare ad esse maggiore attenzione e cura, tutto qua. In questo, il sostegno filantropico nei confronti dell’azione che porta all’immenso contenitore che si chiama cultura, è fondamentale. Ma la cultura è messa in moto anche dalla curiosità e dalla vicinanza al bello, senza questi elementi non ci sarebbe nemmeno produzione. Siamo una catena legata all’accesso alla conoscenza nel senso più puro del termine, e la musica ne è regina: la musica può entrare nella pancia, passare per il cuore e muovere la testa producendo pensiero e equilibrio. La musica riesce così a arginare i comportamenti violenti che oggi, purtroppo, molto spesso si tende a giustificare
Dalla rivista Fondazioni: luglio – agosto 2019