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Diciottesima indagine Acri-Ipsos

Come ogni anno, alla vigilia della Giornata Mondiale del Risparmio, Acri ha presentato i risultati dell’indagine sugli Italiani e il Risparmio, che da diciotto anni realizza insieme a Ipsos per questa occasione. Quest’anno, la parola chiave per leggerli è incertezza. Il 2018 sembra, infatti, essere un anno di attesa per molti italiani, che stanno vivendo una situazione non definita, un equilibrio precario, sospesi tra un passato recente, rispetto al quale si rendono conto dei miglioramenti, e grandi aspettative per il futuro. Peraltro la crisi non sembra definitivamente superata (gli italiani si attendono in media ancora 4 anni di crisi); il presente appare complesso e contraddittorio. L’ottimismo circa il futuro sembra essere molto diffuso nel Centro-Sud, soprattutto tra coloro che hanno meno di 30 anni (gli ottimisti riguardo la situazione personale sopravanzano i pessimisti di 36 punti percentuali), che negli anni passati si erano mostrati più negativi. Appare, invece, più in difficoltà il Nord Est; fra coloro che si trovano nella fascia d’età tra i 31 e i 44 anni cresce il numero di quelli che temono un peggioramento delle prospettive, sicché il differenziale tra ottimisti e pessimisti, pur sempre a favore dei primi, passa da +18 a +15. Probabilmente perché sono soprattutto gli adulti in questa fascia d’età, nella quale si consolidano le basi strutturali della propria vita, quelli che dichiarano un peggioramento delle condizioni di lavoro (contratto, guadagno, orario). Complessivamente hanno dichiarato un peggioramento delle condizioni di lavoro l’11% degli italiani contro il 5% del 2017. Nel 2018 quelli che dichiarano di essere stati colpiti direttamente dalla crisi riguardo al lavoro sono il 24%, in crescita rispetto al 19% del 2017; un dato questo in contrasto con il fatto che è parimenti in aumento il numero delle famiglie che non hanno avuto nessuna difficoltà a mantenere il proprio tenore di vita (sono il 37%, erano il 35% nel 2017, il 32% nel 2016)


In un presente che appare complesso e contraddittorio, le scelte di consumo diventano più guardinghe e accorte, frenando la tendenza al recupero dei consumi che si era registrata negli ultimi anni. La tensione verso il risparmio rimane, invece, molto forte, con segnali di ulteriore rafforzamento, soprattutto in un’ottica cautelativa.
Vogliono risparmiare l’86% degli italiani, come lo scorso anno, ma ben il 38% addirittura non vive tranquillo se non mette da parte dei risparmi (+1 sul 2017), e il 39% delle famiglie afferma di essere riuscito effettivamente a risparmiare (+2 punti percentuali sul 2017), mentre diminuiscono coloro che consumano tutto il reddito: sono il 37% contro il 41% del 2017. Al contempo aumentano lievemente le famiglie in saldo negativo di risparmio: dal 21% del 2017 al 22% attuale; in quest’ambito decresce il numero di coloro che intaccano il risparmio accumulato (dal 16% dello scorso anno al 14% attuale), ma aumentano coloro che ricorrono a prestiti (sono l’8% contro il 5% del 2017). L’aumento del risparmio lordo delle famiglie (+18% rispetto allo stesso periodo del 2017) è riscontrato anche dall’Istat (ricordiamo che Istat rileva lo stock di risparmio, non il numero dei risparmiatori).


Gli italiani sono piuttosto soddisfatti (13% molto soddisfatti e 54% abbastanza soddisfatti) di come gestiscono i propri risparmi
: la preferenza per la liquidità è sempre elevata e riguarda quasi 2 italiani su 3, anche se aumentano di 4 punti percentuali coloro che preferiscono investire, quantunque una piccola parte di risparmio. L’investimento ideale non esiste più: gli italiani si dividono in 3 gruppi quasi omogenei: il 30% ritiene che l’investimento ideale proprio non ci sia (-3 punti rispetto al 2017), il 32% lo indica negli immobili (+1 punto sul 2017), il 31% indica gli investimenti finanziari reputati più sicuri. Ultimi, con il 7%, sono coloro che indicano come ideali gli strumenti finanziari più rischiosi (con una percentuale stabile rispetto all’anno passato).

Cosa rappresenta per gli italiani il risparmio? Risparmiare è tranquillità, saggezza, pensare al futuro, ma anche un sacrifico. Per il 64% significa attenzione alle spese superflue ed evitare gli sprechi (pensionati 69%), per il 18% è aderire a offerte vantaggiose, per il 9% rimandare le spese considerate superflue, per il 9% guadagnare più di ciò che si spende. Risparmiare è qualcosa alla portata del quotidiano, un atteggiamento di vita, un’attenzione continua che parte dalle piccole cose e arriva alle più grandi, piuttosto che una costante rinuncia o una rincorsa allo sconto. La sensazione è che si faccia un po’ meno di ciò che si dovrebbe: si pensa che le generazioni passate abbiano risparmiato assai più di quella presente (85%).

Quando gli italiani pensano al risparmio i rimandi sono soprattutto positivi (82%), legati all’idea della tranquillità (39%), della tutela (21%) o della saggezza (19%). Però il risparmio è anche sacrificio per il 30%, cioè una rinuncia a consumare oggi, o una situazione che ricorda la crisi (7%) e a volte mette un po’di tristezza (4%). Il risparmio è anche molto legato all’idea di futuro (27%), al pensiero di cosa succederà, a farsi trovare pronti per il domani, bello o brutto che sia. Infatti, si risparmia soprattutto per tutelarsi personalmente dai rischi futuri (37%) o per accumulare risorse per un progetto da realizzare (26%), altri ritengono che risparmiare sia eticamente corretto, a prescindere dalla propria personale situazione (14%), altri ancora sentono la tensione al risparmio innata, parte della propria indole (13%).


Cresce la quota di italiani che attribuiscono al risparmio una valenza che va oltre la sfera privata. È utile per educare le giovani generazioni a una vita consapevole ed equilibrata
(per il 51% degli italiani questo aspetto è fondamentale) e per abituarli a programmare e a pensare al futuro più prossimo (43%) o al dopo pensione (43%). Inoltre l’80% degli italiani ritiene che il risparmio sia utile per lo sviluppo sociale e civile del Paese e sono sempre più coloro che, quando risparmiano, percepiscono di fare – oltre ai propri interessi – anche quelli del Paese: erano un quarto nel 2017 (24%), sono circa un terzo adesso (32%).

Le aziende, in quanto protagoniste del mondo produttivo ed eventualmente oggetto di investimento da parte dei risparmiatori, devono però meritarsi la fiducia dei cittadini, dei consumatori, dei risparmiatori: per ottenerla – secondo il 79% degli italiani – devono essere attente alle conseguenze delle loro azioni sull’ambiente e sul tessuto sociale. Il consumatore sollecita le aziende ad operare in modo responsabile e sostenibile: il 68% della popolazione mondiale ritiene che le aziende che avranno successo sono quelle che non si limiteranno a fornire buoni prodotti o servizi, ma che daranno un contributo positivo alla società. Le aziende ne stanno prendendo consapevolezza: secondo il 53% degli italiani una buona parte di esse sta rispondendo adeguatamente a questa richiesta. Inoltre il 59% dei top-manager mondiali ritiene che sia il momento più propizio di sempre per agire nella direzione di un modello di sviluppo più sostenibile.

Come devono comportarsi le aziende per essere ben considerate? Innanzitutto dovrebbero avere a cuore i propri dipendenti (77%), e dovrebbero porre attenzione allo stesso modo ai propri clienti e all’ambiente (entrambi al 38%). Alcuni comportamenti, inoltre, non sono accettabili se si vuol essere considerati sostenibili: l’azienda deve rifiutare le nuove forme di schiavitù, specie minorile (80%), ogni tentativo di corruzione (77%) e deve evitare di far correre qualunque rischio al consumatore (75%).

Infine, le prospettive per l’Italia. Sembrano significativamente legate all’Europa: se da una parte è forte la delusione per i progressi del processo di unificazione europea (il 53% ha una bassa fiducia), dall’altra, ancor più che in passato, si ritiene fondamentale la scelta europeista del Paese (il 66% ritiene che l’uscita per l’Italia sarebbe un danno, in crescita rispetto al 61% del 2017; chi ritiene l’uscita un vantaggio scende dal 17% al 14%). Allo stesso tempo si riduce, anno dopo anno, la delusione verso l’euro, e sempre più italiani sono convinti che – in una prospettiva di medio periodo – rimanere nell’euro sia la scelta più idonea (il 56% ritiene che sarà un vantaggio, contro il 29% che preferirebbe non avere l’euro in futuro).

“Fondazioni” novembre-dicembre 2018