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L’incanto della realtà nel ritorno alla figura tra De Chirico e Donghi

Formule figurative tradizionali, una sorta di visione lucidamente attonita dell’esistente, la minuziosa resa di dettagli dall’effetto straniante sono la cifra di quella corrente pittorica dei primi decenni del Novecento nota come “Realismo magico”. Si tratta di una produzione artistica dove alla forte componente lirica si aggiunge quella socio-teologico-politica, per cui la campagna, e non la città, è il riferimento principale. ne sono una testimonianza le tante vedute di borghi e campagne, alla cui origine sta, senza dubbio, una particolare scoperta o “riscoperta” del paesaggio italiano che ha luogo negli anni della guerra. Una selezione di capolavori provenienti da musei, fondazioni, istituzioni bancarie e collezioni private dà conto di quest’arte in una mostra dal titolo “Una profondissima quiete. Francalancia e il ritorno alla figura tra de Chirico e Donghi”, proposta ad Assisi, fino al 4 novembre nel centralissimo Palazzo Bonacquisti, dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Perugia e organizzata dalla Fondazione Cariperugia Arte. A cura di Vittorio Sgarbi, Beatrice Avanzi e Michele Dantini, il percorso espositivo porta per la prima volta in Umbria un progetto articolato che si sofferma sulle tappe artistiche, ma anche umane, degli autori che hanno caratterizzato questa corrente pittorica, vivace negli anni Venti e Trenta, definita realismo magico dallo scrittore massimo Bontempelli in Italia e dal critico Franz Roh in Germania.

Dopo il dinamismo futurista e delle avanguardie, si sente il bisogno di soffermarsi sulle nuove istanze metafisiche e sul valore mitico con cui si guarda alla realtà. Artisti e intellettuali si riuniscono a Roma nella “terza saletta” del Caffè Aragno, dove Mario Broglio aveva stabilito la redazione della sua rivista “Valori plastici”, fondata con un chiaro programma di riabilitazione dei valori del passato e della tradizione figurativa italiana, sostenendo la metafisica e pubblicando gli studi di Carrà su Giotto e di Roberto Longhi su Piero della Francesca. È in questo contesto culturale che trova la sua dimensione più autentica l’opera di Riccardo Francalancia, artista nato in Umbria, ad Assisi, che giunse a Roma nel 1913, portando con sé i silenzi e le suggestioni della natura umbra nel momento in cui la poetica del realismo magico è in pieno sviluppo. Egli fa subito sua questa lezione, per tradurla in un’opera personalissima, spesso solitaria ma non isolata, perché comunica con il resto dell’ambiente romano. Fra le 130 opere esposte ad Assisi ci sono capolavori di Giorgio De Chirico, “grande metafisico” che ha introdotto valori come quello del ritorno agli antichi maestri e alla figurazione, innestando un profondo senso di magia, di cui “Cavalli in riva al mare” è una significativa espressione. Tale sentimento è presente anche in Felice Casorati, ricercatore del valore lirico delle “cose immobili”, tra cui le nature morte con uova, che dipinge lungo tutto l’arco della sua carriera, sono il soggetto prediletto. C’è poi Cagnaccio di San Pietro con i suoi personaggi assorti e le sue madonne addolorate, Antonio Donghi con il suo accento del tutto originale nell’interpretazione – ricca di incanto e di magia – di situazioni quotidiane, ambienti popolari, vedute cittadine. E poi tanti altri artisti, fra i quali appunto il Francalancia, nelle cui opere la precisione è accompagnata sempre dalla poesia di uno sguardo incantato che sottrae ogni cosa allo spazio e al tempo reali.

foto in apertura: Giorgio de Chirico, “Cavalli”, 1927;
nell’articolo: Antonio DONGHI, “La donna che fuma”, 1950 

 

“Fondazioni” settembre-ottobre 2018