Il mezzo non più continuare ad essere confuso con il fine. Questo in estrema sintesi l’assunto da cui è partito Giorgio Righetti, direttore generale di Acri, per introdurre i lavori delle tre tavole rotonde organizzate nel pomeriggio del primo giorno di Congresso, per dare una rappresentazione concreta del lavoro delle Fondazioni, capace di argomentare con i fatti il timone congressuale basato sul binomio “Identità e Cambiamento”.
«Spesso, nel definire le Fondazioni – ha sottolineato Righetti – si pone enfasi sul ruolo di soggetti erogatori. Anzi, le si definisce proprio enti di erogazione». In effetti, sulle erogazioni sappiamo molto, a partire dal fatto che dal 2000 a oggi hanno raggiunto un ammontare di circa 21 miliardi di euro. «La tendenza a far coincidere l’identità delle Fondazioni con l’attività erogativa è, a mio avviso, alquanto bizzarra e contiene almeno due limiti macroscopici – ha sottolineato -. Il primo è che questa visione trasforma un mezzo in un fine. le erogazioni, o meglio le risorse erogative, non sono un fine, sono uno strumento attraverso il quale le Fondazioni perseguono i propri obiettivi di missione che sono, come indicato dalla legge Ciampi, quelli di perseguire esclusivamente scopi di utilità sociale e promozione dello sviluppo economico. Il secondo limite è che fa implicitamente intendere che le erogazioni siano l’unica leva a disposizione delle Fondazioni. su questo secondo aspetto voglio soffermarmi. ritengo infatti che, se l’erogazione poteva in effetti essere considerata, in una primissima fase della loro storia, l’unica leva a disposizione, in un processo di graduale presa di coscienza, le Fondazioni si sono rese conto che “l’armamentario” a loro disposizione per perseguire i propri scopi istituzionali è quantitativamente e qualitativamente più ampio. ritengo, cioè, che le Fondazioni abbiano in qualche modo intrapreso quel processo evolutivo che il filosofo russo Ouspensky nel libro “Frammenti di un insegnamento sconosciuto” così sintetizza: “l’evoluzione può essere necessaria soltanto a colui che si renda conto della sua situazione e della possibilità di cambiarla, e si renda conto che ha dei poteri che non usa e delle ricchezze che non vede”. In altri termini, le Fondazioni hanno avvertito l’esigenza, la vera e propria necessità, di una evoluzione perché si sono rese conto che possedevano poteri che non usavano e ricchezze che non vedevano. E questa evoluzione le sta trasformando, agli occhi esterni e ai loro stessi occhi, da “enti erogatori” a “enti attivatori di capitale sociale e umano”».
Secondo righetti, “la ricchezza che non vedono” è l’impiego del patrimonio in investimenti correlati alla missione. «In pratica, nel perseguire la propria missione, le Fondazioni si sono progressivamente rese conto che avevano a disposizione una ricchezza che non usavano a pieno, appunto il patrimonio. Utilizzare il patrimonio in correlazione alla missione consente di perseguire l’obiettivo di produrre rendimenti che vanno ad alimentare l’attività erogativa, perseguendo contestualmente anche l’obiettivo di missione. e lo si persegue in maniera peraltro, ove se ne verifichino le condizioni, più efficace. Infatti l’investimento ha un orizzonte di riferimento molto più ampio rispetto all’erogazione e può consentire di creare più concretamente le condizioni di sostenibilità degli interventi, cosa che rappresenta un obiettivo sempre presente nelle strategie delle Fondazioni, ma spesso una chimera se si utilizzano solo le erogazioni. sulla base delle rilevazioni effettuate da Acri, l’ammontare complessivo di investimenti che presentano le caratteristiche di correlazione agli obiettivi di missione delle Fondazioni sono pari a circa 4,6 miliardi di euro e rappresentano circa l’11,5% del patrimonio».
Il “potere che non usano” è l’esercizio del proprio ruolo istituzionale quale leva di intervento. Nel corso dei venticinque anni seguiti alla loro nascita le Fondazioni, con un processo di graduale accreditamento nei territori e nel paese, alla luce delle iniziative realizzate e dei risultati conseguiti, hanno assunto un ruolo sempre più determinante, divenendo importanti punti di riferimento per orientare i percorsi di crescita delle comunità locali. «Vi sono tre cause principali alla base di questo processo di accreditamento – ha scandito il Direttore generale di Acri -. In primo luogo vi è il fatto che le Fondazioni, nell’essere parte integrante dei territori, sono capaci di captarne i bisogni, comprenderne le esigenze, identificare le priorità di intervento. Sono antenne sul territorio, grazie alla loro capacità di dialogo con gli attori, pubblici e privati, che hanno a cuore la crescita delle comunità secondo i valori della solidarietà e del bene comune. In secondo luogo, sono enti catalizzatori, enti cioè in grado di chiamare attorno al tavolo tutti coloro che, su specifiche problematiche, hanno esperienze e competenze e soprattutto, hanno a cuore la soluzione dei problemi. grazie alla loro autorevolezza e alla loro neutralità, sono in grado di svolgere questo ruolo di coordinamento e di chiamata alla responsabilità. In terzo luogo, sono propulsori di innovazione, sono soggetti cioè in grado di stimolare direttamente o attraverso la partnership con i tanti soggetti operanti sul territorio, processi di innovazione in campo sociale, culturale e formativo, di cui beneficiano i cittadini e che rappresentano punti di riferimento cui si ispirano frequentemente anche le politiche pubbliche locali. Questo ruolo istituzionale non va quindi trascurato, anzi, rappresenta, e forse sempre più rappresenterà, una leva fondamentale, non tanto a causa della riduzione delle risorse a disposizione sia pubbliche che private, ma soprattutto perché un’azione corale e concertata con le tante realtà pubbliche e private, profit e non profit presenti sul territorio, mette a fattor comune competenze, esperienze e risorse, conferendo agli interventi più efficacia ed efficienza operativa. pertanto, avere piena consapevolezza degli strumenti a disposizione, nonché una loro sapiente ed equilibrata dosatura, consente alle Fondazioni di intraprendere percorsi innovativi, efficaci e di ampia portata, quali l’Housing sociale, la Fondazione con il Sud e, più recentemente, il Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile, per non citare le centinaia di progetti a livello locale realizzati da ciascuna Fondazione».
Tre le tavole rotonde seguite all’intervento di Righetti, tutte coordinate da Elisabetta Soglio, responsabile dell’inserto settimanale Buone notizie del Corriere della Sera, il cui lancio sia Acri che le Fondazioni hanno sostenuto con decisione. Il filo rosso che le accomuna è la visione del futuro, che è il punto di partenza necessario per chi intende occuparsi dell’interesse generale. «La visione – ha ricordato Righetti – è ciò che trasforma semplici attività in programmi organici che tendono a perseguire una missione».
È stato innanzitutto trattato il tema di cosa fanno “le Fondazioni per il contrasto della povertà educativa minorile”. La visione delle Fondazioni per il futuro è quella di realizzare una società in cui si offrano opportunità a tutti i giovani. Che non vuol dire trattare tutti in maniera uguale, bensì trattare tutti in maniera giusta; in altri termini, mettere tutti in condizione di cogliere le opportunità, intervenendo con maggior impegno là dove questa capacità di coglierle è più fragile e svantaggiata. Rimuovere gli ostacoli di ordine culturale, economico e sociale che limitano il pieno sviluppo di bambini e ragazzi è il timone che orienta le molte iniziative delle Fondazioni di origine bancaria a favore dei più giovani. Carenze scolastiche, disagio famigliare, abusi, povertà morale, educativa e alimentare rischiano nel nostro paese, che conta oltre quattro milioni di famiglie in grave difficoltà economica, di condizionare negativamente la crescita dei minori, perché non godono di opportunità e stimoli sufficienti. Oltre ai progetti finanziati singolarmente, dal 2016 le Fondazioni di origine bancaria sostengono un’iniziativa di sistema, in collaborazione con governo e Terzo settore tramite il Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile, le cui risorse sono destinate al finanziamento di bandi per progetti a favore dell’infanzia svantaggiata. L’intento è di compensare situazioni di squilibrio e di disuguaglianza là dove la povertà educativa è frutto di povertà economica e, in un circolo vizioso, spesso la alimenta. Le Fondazioni contribuiscono al Fondo con 120 milioni di euro all’anno, per tre anni. Si tratta di un’iniziativa parziale per risolvere definitivamente il problema, ma senz’altro è la più vasta mai progettata in questo senso. Alla tavola rotonda hanno partecipato: Carlo Borgomeo, presidente della Fondazione Con il Sud; Mauro Magatti, professore ordinario di sociologia all’Università Cattolica del Sacro Cuore; Umberto Tombari, vicepresidente di Acri e presidente della Fondazione Cassa di Risparmio di Firenze.
Il secondo dibattito ha riguardato il tema della rigenerazione urbana, intesa come il recupero e la riqualificazione di spazi nelle periferie degradate delle città, e spesso anche nei centri storici trascurati o dimenticati, limitando il consumo di suolo, salvaguardando il paesaggio e l’ambiente, dando attenzione alla sostenibilità e alla germinazione di interventi di natura culturale e sociale, finalizzati al miglioramento della qualità della vita delle comunità. Le Fondazioni di origine bancaria praticano già da tempo iniziative in tal senso, con l’obiettivo di creare una società in cui i luoghi del vivere possano essere accoglienti, sicuri e capaci di favorire la socialità. Luoghi del vivere inclusivi e non escludenti, in cui la bellezza rappresenti la cifra che guida e informa l’azione di tutti coloro che i luoghi costruiscono e abitano. Si va dai progetti di social housing – ovvero di edilizia privata sociale in contesti dove non solo si vive, ma anche si lavora, si studia, si socializza e ci si diverte – alla trasformazione di edifici storici o industriali abbandonati in veri e propri poli di aggregazione sociale e culturale, fino al recupero di interi quartieri, là dove la vertiginosa urbanizzazione di questi anni ha portato a situazioni di marginalità, che ormai rischiano di estendersi anche alle aree più centrali delle città. Gli spazi in cui le comunità vivono, s’incontrano, lavorano e crescono vengono così ripensati, implementando i progetti in un confronto continuo con la collettività e potenziando le migliori pratiche del Terzo settore, per la realizzazione di nuovi modelli di welfare metropolitano e urbano. Questa tavola rotonda è stata animata da: Giusella Finocchiaro, presidente della Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna; Stefano Boeri, professore ordinario di Urbanistica al Politecnico di Milano; Matteo Melley, vicepresidente di Acri e presidente della Fondazione Cassa di Risparmio della Spezia.
Infine, “le Fondazioni per l’innovazione e lo sviluppo”, momento nel corso del quale sono intervenuti: Fabio Gallia, amministratore delegato di Cassa Depositi e Prestiti spa; Francesco Profumo, vicepresidente di Acri e presidente della Compagnia di San Paolo; Renato Ravanelli, amministratore delegato di F2i – Fondo Italiano per le Infrastrutture Sgr Spa. L’impegno delle Fondazioni di origine bancaria per l’innovazione attraversa in modo sostanziale l’intero approccio alla loro missione. In primis, perché individua nella coesione e nell’innovazione sociale il substrato e il fine di ogni possibile progresso materiale; in secondo luogo, perché se è vero che ognuno dei settori in cui esse operano ha caratteristiche proprie, è pur vero che ognuno – da quello sociale e dei servizi alla persona a quello ecologico-ambientale, alla ricerca scientifica fino al settore artistico-culturale – è suscettibile di innovazione, soprattutto a valle del progresso tecnologico degli ultimi anni. Le Fondazioni si muovono prevalentemente lungo tre linee operative: l’alfabetizzazione e la formazione scientifica e informatica, innanzitutto nelle scuole; il trasferimento dei risultati della ricerca dall’università al mondo produttivo; la promozione, spesso in partnership con altri soggetti, della cosiddetta open innovation, cioè l’innovazione che nasce in luoghi non tradizionali, in modo diffuso nella società, con il coinvolgimento di start up, associazioni e imprese, tessendo reti e puntando sulla creazione di spazi di coworking, capaci di far crescere innovatori e di diffondere l’innovazione, anche con un approccio intersettoriale, diventando spesso veri e propri incubatori d’impresa.