A metà maggio è uscito il Rapporto Istat sull’Italia per il 2018. Come sempre, partendo dal grande patrimonio di informazioni statistiche, la capacità di integrarle in un quadro coerente e una prospettiva di ricerca originale, esso consente di osservare in profondità i cambiamenti che attraversano il Paese. Quest’anno il Rapporto affronta le varie dinamiche, individuali e aziendali, proponendo una chiave di lettura che ci è parsa particolarmente originale: quella delle reti e delle relazioni tra le persone, tra le persone e gli attori sociali (imprese, istituzioni, gruppi formali e informali) e degli attori sociali tra loro. Colpisce, ma non sorprende, quanto ne emerge.
Una famiglia che si restringe riduce l’ampiezza delle reti famigliari. Quando i centri minori perdono popolazione e chi resta invecchia, si assottigliano le reti di vicinato. Nelle città che si riorganizzano nelle loro funzioni, separando un centro terziarizzato e destinato allo shopping e al divertimento dalle aree destinate alle funzioni residenziali, le possibilità di relazione si fanno più selettive e si spostano dai luoghi dell’abitazione e del lavoro a quelli della cultura e del tempo libero nelle sue diverse declinazioni. L’assottigliarsi delle reti, poi, può comportare, un maggiore rischio di isolamento per gli individui. Peraltro, l’appartenenza a più reti, al di là di quella di parentela, è un argine importante a tale rischio, con un ruolo positivo sempre più rilevante della rete elettiva, sia nel sostegno e nella risposta ai propri bisogni e necessità, sia per lo sviluppo dei propri interessi e l’arricchimento culturale. Istruzione e conoscenza contribuiscono, tra l’altro, ad attivare il “valore aggiunto” delle reti, soprattutto per quanto riguarda le attività culturali e di partecipazione, come il volontariato. In tutto questo le tecnologie della comunicazione possono favorire la varietà delle relazioni individuali, senza svuotare o soppiantare le forme di socialità tradizionali. La varietà delle reti di relazione ha, inoltre, risvolti positivi per la società nel suo complesso. Le risorse relazionali stimolano, infatti, il senso di appartenenza, promuovono il senso civico e favoriscono la fiducia interpersonale e verso le istituzioni.
Vantaggi analoghi si possono registrare per le imprese: reti formali e non formali tra imprese, nella pluralità di forme ed estensione analizzate nel Rapporto, giocano sempre più un ruolo cruciale nel caratterizzare la strategia di impresa con le sue diverse articolazioni proprietarie, forme di organizzazione della produzione e promozione dei prodotti, mostrando che le reti di relazione, qualunque sia l’ambito in cui vengono osservate, non comportano soltanto vantaggi isolati, ma si cumulano e si agglomerano, tanto che è possibile parlare di un potere moltiplicatore delle reti.
In uno degli approfondimenti il Rapporto 2018 mostra che, nella ricomposizione delle attività economiche nel sistema produttivo italiano conseguente alla selezione determinata dalla grande recessione, sono mutate anche le reti di relazioni che le imprese intrattengono con altri soggetti imprenditoriali o istituzioni e che la rete delle relazioni inter-settoriali rappresenta un importante tramite per la diffusione delle tecnologie e del know how all’interno dei sistemi produttivi. Facendo al riguardo un confronto fra Italia e Germania, il Rapporto segnala che gli indicatori sul numero e le caratteristiche dei legami intersettoriali rivelano un livello complessivamente simile di relazioni attivate ma, nel caso dell’Italia, i settori più periferici risultano relativamente più isolati. Inoltre in Italia c’è una minore capacità di trasmissione di conoscenza e di tecnologia attraverso il canale degli scambi tra industrie, sostanzialmente dovuto all’operare congiunto di un modello di specializzazione che pone al centro della rete di relazioni settori a contenuto basso o mediobasso di tecnologia/conoscenza e una struttura di scambi frammentata e relativamente chiusa, tendente a marginalizzare i settori fornitori di beni e servizi avanzati, soprattutto lungo la direttrice manifattura-servizi. Il Rapporto evidenzia anche che in Italia la propensione alla cooperazione per l’innovazione è minore che nelle altre maggiori economie europee. In particolare, la definizione di accordi di cooperazione con università o centri di ricerca appare assai più ardua per le imprese di piccole o medie dimensioni. Questa limitata capacità di rapporto emerge anche dall’analisi della rete dei partecipanti al programma di ricerca europeo Horizon 2020, dove il ruolo di pivot è giocato congiuntamente dalle università britanniche e dalle imprese tedesche. Considerando la sottorete costituita, in quest’ambito, dai partner delle imprese italiane, si evidenzia la capacità di queste di sviluppare collaborazioni per attività di ricerca con altre imprese, in particolare di Germania, Francia e Spagna, mentre più contenuto pare il loro rapporto con le università e gli enti di ricerca italiani.
Riguardo ai dati di sintesi per il 2017, il Rapporto registra che in Italia il Pil è cresciuto dell’1,5%, i consumi continuano a risalire (+1,4%), il volume delle esportazioni di beni e servizi è incrementato del 5,4% e quello delle importazioni del 5,3%. L’espansione dell’attività ha interessato tutti i settori produttivi, a eccezione dell’agricoltura.