Gino Rossi nacque a Venezia nel 1884 e fu un pittore ribelle, refrattario all’accademia e attento a quanto di nuovo nasceva nell’arte in Europa. La sua parabola artistica è stata tracciata in una mostra a Venezia, allestita fino al 20 maggio a Ca’ Pesaro – Galleria Internazionale d’Arte Moderna, che ha presentato anche il nucleo dei suoi lavori conservati nella collezione della Fondazione Cariverona.
Artista tra i più interessanti dell’avanguardia veneziana, che proprio a Ca’ Pesaro trovò il suo centro nei primi anni del Novecento, Rossi entrò in contatto con alcune delle più importanti esperienze artistiche del tempo, che contribuirono a formare la sua poetica con sguardo internazionale e cosmopolita. La forma è per lui elemento “antigrazioso”, lontano dalla leziosità di tanta arte dei primi anni del secolo scorso, in aperta contrapposizione con l’estetica decadente di molti suoi contemporanei. Rientrato in Itala dopo un periodo a Parigi (vi si reca nel 1907), trova nell’isola di Burano la sua Bretagna, luogo ideale ma assolutamente non idilliaco, dove passa lunghi soggiorni e dove si trasferisce anche a vivere, nel disagio e nella scomodità più assoluta. Nella ritrattistica si concentra sugli umili. Sceglie come protagonisti i pescatori o le loro mogli, cogliendo con pennellata energica e materica lo spirito di ogni figura ed esasperandone i tratti più duri. Tra i ritratti esposti troviamo “Bruto” (1913), messo a confronto con la scultura “Buffone” (1913-14) di Arturo Martini: un grande busto in gesso dipinto che esplicita, in un gioco di rimandi estetici, la grande affinità tra questi due artisti e le similitudini nelle loro ricerche. Allo stesso modo, le figure femminili si discostano dai ritratti di aristocratiche e borghesi, comuni a larga parte della produzione di quegli anni; le sue donne sono popolane, spesso madri, vestite di scuro e con abiti semplici. Anche i paesaggi sono improntati a un forte espressionismo, fortemente influenzato dai primi soggiorni in Bretagna. Il soggetto prediletto è l’isola di Burano. Lontana dal fasto decadente del centro storico, la piccola isola è un rifugio e un’inesauribile fonte di ispirazione, un ambiente primitivo e ancestrale in cui uomo e natura si integrano in un legame indissolubile. A “Barene a Burano” (1912-13) e altri due paesaggi buranesi degli stessi anni sono affiancate in mostra le significative prove di alcune “sentinelle avanzate” del paesaggio moderno, cresciute sempre in ambito capesarino, come Pio Semeghini e Umberto Moggioli.
L’esperienza della Prima Guerra Mondiale segna per sempre Gino Rossi e tutta l’avanguardia artistica italiana. I lavori dopo il 1918 sono più articolati e strutturati, incentrati su forme e volumi che riprendono la lezione di Cézanne. Nel 1926, dopo solo 20 anni di produzione, Rossi viene internato nel manicomio di Sant’Artemio a Treviso. Non dipingerà mai più e morirà nel 1947, lasciando una grande incognita su come la sua ricerca artistica avrebbe potuto proseguire.