Che l’universo sia scritto in lingua matematica è senz’altro il cuore della filosofia galileiana. E che Galileo Galilei sia stato il fondatore del metodo scientifico sperimentale è senz’altro un’altra verità, nota ai più, che lo individua come il padre della scienza moderna. Ma Galilei, nato a Pisa il 15 febbraio 1564 e scomparso ad Arcetri l’8 gennaio 1642, non fu solo questo. Dopo di lui nulla fu come prima, non solo nella ricerca astronomica e nelle scienze, ma anche nell’arte. La mostra “Rivoluzione Galileo”, allestita fino al 18 marzo presso il Palazzo del Monte di Pietà di Padova e fortemente voluta dalla Fondazione Cariparo e dalla locale Università, dov’egli insegnò per diciotto anni, a partire dal 1592, racconta, per la prima volta, la figura complessiva e il ruolo di quest’uomo, che fu uno dei massimi protagonisti del mito italiano ed europeo. Ciò grazie a un’esposizione dai caratteri del tutto originali, dove capolavori assoluti dell’arte occidentale, in dialogo con testimonianze e reperti diversi, consentono di scoprire un personaggio da tutti sentito nominare ma da pochi realmente conosciuto. La mostra, concepita da Giovanni C.F. Villa, ne fa emergere tutte le molteplici sfaccettature: dallo scienziato al letterato esaltato da Foscolo e Leopardi, Pirandello e Ungaretti, De Sanctis e Calvino, al Galileo virtuoso musicista ed esecutore, fino al Galileo artista, tratteggiato da Erwin Panofsky quale uno dei maggiori critici d’arte del Seicento; dal Galileo imprenditore – non solo la realizzazione del cannocchiale, ma anche del microscopio e del compasso – al Galileo della quotidianità. Per documentare “Rivoluzione Galileo” Villa raccoglie un numero impressionante di opere d’arte, a partire dagli splendidi acquerelli e schizzi dello stesso Galileo, che mostrano la sua altissima qualità di disegnatore.
Lo scienziato era del resto un attento osservatore dell’arte. E l’influenza delle conquiste galileiane sulla cultura artistica è già evidente nel primo Seicento: come testimoniano le straordinarie opere dei Brueghel e di Govaerts con la loro minuziosa resa della natura, ma anche l’evidenza data alla prorompente portata delle “macchine” di Galileo. Nel 1610 egli pubblica il Sidereus Nuncius, il cui effetto immediato si può scorgere nella celebre Fuga in Egitto di Adam Elsheimer, prima raffigurazione della Via Lattea; e poi in una sequenza di artisti capaci di raffigurare la luna così come vista con il cannocchiale, tanto che una notevole sezione della mostra racconta proprio la scoperta della luna da Galileo fino ai nostri giorni. Anche il genere della natura morta sviluppa nuove formule compositive: i simboli della vanitas lasciano il posto a una raffigurazione documentaristica legata allo sviluppo delle scienze naturali. E poi un racconto iconografico per capolavori, tra cui spicca il dipinto del Guercino dedicato al mito di Endimione, con una delle prime raffigurazioni del cannocchiale perfezionato dallo scienziato pisano. Tra gli anni Venti e Trenta del secolo diciassettesimo prende vita una vera e propria “bottega” galileiana, ovvero una generazione di artisti (Artemisia Gentileschi, l’Empoli, Stefano Della Bella, ecc.) in grado di condividere le suggestioni offerte dalla lezione dello scienziato. Ne sono un esempio le Osservazioni astronomiche di Donato Creti, ora alla Pinacoteca Vaticana: straordinarie tele raffiguranti stelle e pianeti ritratti in modo da mostrare l’aspetto che presentano al telescopio, evocando le scoperte galileiane. La mostra sviluppa anche un’ampia sezione d’arte contemporanea, che va da Previati, Pelizza da Volpedo e Balla fino ad Anish Kapoor. Così sette secoli di arte occidentale, intrecciandosi con la scienza, la tecnologia e l’agiografia galileiana, restituiscono compiutamente la parabola umana del grande Galileo, che a Padova passò gli anni più felici della sua vita per la libertà concessagli dallo Studio patavino.