È uno degli eventi clou delle celebrazioni di Pistoia Capitale italiana della Cultura 2017 la mostra “Marino Marini. Passioni visive” aperta fino al 27 gennaio a Palazzo Fabroni e realizzata dal Comune in collaborazione con la Fondazione e la Cassa di Risparmio di Pistoia. Curata da Barbara Cinelli e Flavio Fergonzi, è la prima retrospettiva del Maestro (Pistoia 1901 – Viareggio 1980) e ambisce a situarlo organicamente nella storia della scultura, con una posizione di assoluto rilievo nella vicenda del modernismo novecentesco internazionale.
La mostra ripercorre tutte le fasi della creazione artistica di Marini, dagli anni Venti ai Sessanta, ponendo le sue invenzioni plastiche in relazione con i grandi modelli della scultura del Novecento cui egli ebbe accesso e con alcuni esempi di scultura dei secoli passati che furono consapevolmente recuperati da Marini e dai maggiori scultori della sua generazione. Il percorso si articola in dieci sezioni. Nella prima i suoi busti degli esordi sono affiancati a canopi etruschi e a busti rinascimentali; mentre il “Popolo”, la terracotta del 1929 che fu un passaggio determinante della sua svolta arcaista, si misura con una testa greco-arcaica da Selinunte e un coperchio figurato di sepoltura etrusca. Anche la successiva ricerca di una diversa monumentalità, ben rappresentata dal capolavoro ligneo dell’“Ersilia”, è messa a confronto con sculture etrusche e antico-italiche.
Verso la metà degli anni Trenta Marini si concentra sul nudo maschile e ne trae una serie di lavori destinati a lasciare un segno nella scultura europea, come evidenzia il raffronto con opere sul medesimo tema di Arturo Martini e Giacomo Manzù. Negli stessi anni, reinventa il significato stesso del ritratto scultoreo, attingendo ai modelli del passato, specialmente all’arte egizia, da cui desume la lezione di una volumetria pura, intrinsecamente monumentale. La mostra si sofferma quindi sui primi grandi “Cavalieri” dei secondi anni Trenta, che al loro comparire furono giudicati, per l’arcaica impassibilità, un attentato ai canoni tradizionali del genere, ma apprezzati da una ristretta schiera di intelligenti e sofisticati ammiratori. La scena successiva è riservata alla stilizzazione allungata dei corpi maschili: qui il trecentesco Cristo Crocifisso appartenuto al Maestro è avvicinato a un suo “Icaro” e a due dei suoi “Giocolieri”. Le “Pomone” e i nudi femminili, che lo scultore realizza partendo da un’originale e misurata rielaborazione del classicismo post-rodiniano, si confrontano con i nudi di Ernesto De Fiori e di Aristide Maillol, le maggiori proposte europee del tempo nella difficile partita di trasformare il corpo femminile in una forma astratta. Quando, verso il 1940, mentre quasi tutti gli altri scultori italiani ed europei sembrano voler abbandonare la lezione di Rodin, Marini la rivisita per dare inizio a una nuova stagione di ricerca che lo porterà, nel dopoguerra, a misurarsi con l’esistenzializzazione della forma di Germaine Richier. Questa particolare declinazione della sua ricerca formale prende forma negli anni del conflitto, durante l’esilio in Svizzera, quando lo scultore sembra guardare con particolare attenzione al drammatico realismo di Donatello: la presenza in mostra del Niccolò da Uzzano del Bargello permette di comprendere a fondo le implicazioni di questa svolta.
La ricerca postbellica riporta Marino Marini a indagare, in forme più astratte, il tema del cavallo e cavaliere: in una sala sono raccolti gli esiti maggiori di questo ciclo, opere contese dal maggiore collezionismo internazionale, e determinanti nello stabilire la posizione di primo piano dello scultore nel canone della scultura contemporanea di figura. In una sala emozionante i suoi “Cavalieri” post 1945 sono messi a confronto con i loro antenati di riferimento, cavalli e cavalieri dalle civiltà del Mediterraneo e dell’antica Cina. Nel dopoguerra Marini inventa una nuova lingua per la resa espressiva del volto umano: questa lingua, che guarda alla scomposizione cubista e, insieme, alla deformazione espressionista, farà di lui il più grande ritrattista-scultore del secolo. La sala dedicata ai ritratti del dopoguerra propone confronti con teste di civiltà antiche e teste di scultori contemporanei. Ancora il tema del Cavaliere, questa volta disarcionato, diventerà un motivo di pura ricerca spaziale, ormai quasi sganciato dalla riconoscibilità del soggetto, come evidenziato dalla sezione dedicata ai celebri “Miracoli”.
Chiudono la mostra i piccoli e grandi “Guerrieri” e le “Figure coricate” degli anni Cinquanta e Sessanta. In questo snodo viene visualizzato l’inatteso confronto con l’antica tradizione toscana di Giovanni Pisano e, insieme, con le soluzioni più sperimentali di Pablo Picasso e di Henry Moore.
“Fondazioni” novembre-dicembre 2017