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Di festival in festival

Mentre si abbassano le luci sul successo della 73a Mostra Internazionale del Cinema di Venezia, sono ancora molte le kermesse culturali che in tutt’Italia accendono i riflettori su temi che danno respiro all’anima e, prima della ripresa serrata dell’ordinaria routine, portano migliaia e migliaia di persone ad ascoltare, riflettere e allargare il proprio sguardo verso orizzonti a volte imprevisti. L’estate è, infatti, diventata la stagione per eccellenza dei festival culturali, che richiamano vere e proprie folle, rivitalizzando città e borghi con manifestazioni ormai capaci di generare valore economico, sociale e politico. Molti di questi festival, oltre ai numerosi altri legati ad ambiti specifici come il teatro, la musica e la scienza, trovano sponda per la loro realizzazione, quando non un vero e proprio fulcro, nel sostegno di Fondazioni di origine bancaria. A fine maggio, promossa da Fondazione Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia, a Pistoia si è svolta la settima edizione di “Dialoghi sull’uomo”, che ha affrontato l’argomento del Gioco, collegandolo con i temi del paradosso, della scrittura, dell’ironia, e con quelli più strettamente filosofici legati alla capacità di andare incontro al rischio e alla perdita, mettendo appunto in gioco la propria soggettività. A Sarzana, dal 2 al 4 settembre, la tredicesima edizione del “Festival della Mente”, voluto e sostenuto dalla Fondazione Carispezia, ha celebrato invece lo Spazio, quale luogo “per cantare crescere / errare e saltare il fosso / della divina sapienza”, come recita una poesia di Alda Merlini intitolata, appunto, Spazio. Dall’8 all’11 settembre a Carrara è seguito “Con-vivere”, la cui undicesima edizione, realizzata come sempre dalla locale Fondazione, è stata dedicata a uno dei principali temi della contemporaneità: Frontiere, che porta con sé molte suggestioni e trame radicate nella storia, ma anche generate dalle questioni più cruciali dell’oggi, partendo dal confronto interculturale, anima del festival, per arrivare alle analisi geopolitiche, senza tralasciare l’esplorazione di ciò che porta a travalicare i limiti della scienza e della conoscenza per tracciarne di nuovi. Più o meno negli stessi giorni, dal 7 all’11 settembre, si è svolta la ventesima edizione di “Festivaletteratura”, che vede tra i sostenitori le Fondazioni Cariplo e Cariverona e che ha chiamato a Mantova, Capitale Italiana della Cultura 2016, alcuni degli scrittori più apprezzati all’estero ma ancora poco noti nel nostro Paese. Quest’anno il Festival ha focalizzato l’attenzione su temi cruciali quali l’ambiente e le migrazioni e ha dato spazio al Fantafestival, costruito sui materiali d’archivio, base e stimolo per ragionare sul Festivaletteratura degli anni a venire. Dal 16 al 18 settembre a Modena, Carpi e Sassuolo quasi 200 appuntamenti fra lezioni magistrali, mostre, concerti, spettacoli e cene filosofiche hanno animato la sedicesima edizione del “Festivalfilosofia”, sostenuto dalle Fondazioni Cassa di Risparmio di Modena e di Carpi. Dedicata al tema dell’Agonismo, che pervade non solo gli ambiti della vita collettiva ma anche le forme di vita dei singoli, ha coinvolto eminenti esperti nel commentare testi che, nella storia del pensiero occidentale, hanno costituito modelli o svolte concettuali rilevanti per il tema: dall’anima in conflitto del Fedro di Platone alla concordia civica nella Politica di Aristotele fino al conflitto delle volontà nelle Confessioni di Sant’Agostino; dall’elogio dei tumulti di Machiavelli e la neutralizzazione del conflitto sostenuta da Hobbes alla lotta di classe teorizzata da Marx, fino al Così parlò Zarathustra di Nietzsche. Chiude la serie dei principali appuntamenti della stagione “Il senso del ridicolo”, festival sull’umorismo, sulla comicità e sulla satira, ideato e realizzato a cura della Fondazione Livorno, che si è svolto dal 23 al 25 settembre. «Ai temi della comicità e dell’umorismo si addice quella competenza leggera che non vuole costruire discorsi solenni e chiusi in se stessi ma tenere sempre aperti dialoghi e giochi, nel tentativo di migliorare il nostro umore e, assieme, il nostro acume» afferma il direttore del festival, Stefano Bartezzaghi. Ed è stato questo il criterio predominante, se non l’unico, che ha ispirato le scelte del programma. «La speranza – conclude – è che ci aiuti a preservare una fra le più imprescindibili (ma anche fra le più sottovalutate) delle vere necessità della vita, individuale e associata: il senso del ridicolo, appunto».

GIOCARE PER IMPARARE A VIVERE

A Pistoia

In uno studio durato trent’anni è emerso che gli adolescenti che nell’infanzia hanno giocato molto, all’aperto e spontaneamente, sono, in media, meno ansiosi e depressi, più intraprendenti e sereni dei coetanei che hanno giocato poco e trascorso molto tempo davanti al video. Sanno creare le condizioni per divertirsi e per provare piacere senza dover ricorrere all’alcol o alle droghe. E la ragione di questo divario è insita proprio nella natura del gioco infantile, un’attività complessa che origina dal bambino stesso e che risponde alle esigenze della crescita. A sottolinearlo è stata, nell’ultima edizione di “Dialoghi sull’uomo”, a Pistoia, Anna Oliverio Ferraris, psicologa e terapeuta, la quale sostiene che il gioco è molto importante per affrontare gli imprevisti, gestire la paura ed esercitare l’autocontrollo, senza perdere la fiducia in se stessi di fronte alle normali difficoltà della vita. Insomma serve per imparare a vivere. Sulla stessa lunghezza d’onda è stato l’intervento di Dario Maestripieri, professore di Biologia Evoluzionistica e Sviluppo Umano Comparato alla University of Chicago. Lo studio del gioco negli animali ha dimostrato, infatti, che questo comportamento può facilitare lo sviluppo della percezione sensoriale, delle attività motorie, delle competenze sociali e di quelle cognitive. Ad esempio nelle giovani scimmie una funzione del gioco è l’acquisizione di competenze che saranno utili da grandi nelle attività di caccia, nell’evitare i predatori, nel combattere con i membri della propria specie, nel corteggiamento sessuale o nelle attività parentali. E anche quando non ha funzioni specifiche, il gioco aiuta a sviluppare relazioni sociali che avranno un ruolo importante nella vita adulta. Alcune funzioni del gioco nelle scimmie si possono applicare anche alla specie umana, con cui si osservano delle similitudini. Ed entrare in gioco è proprio quello che spesso diciamo quando operiamo le nostre principali scelte di vita. Massimo Recalcati, uno degli psicanalisti italiani più noti in Italia, ha evidenziato come la nevrosi sia un modo per non giocare al gioco della vita, per mettersi in panchina, per delegare ad altri la responsabilità dell’atto. Accade ad Amleto che rovescia il destino di Edipo: mentre Edipo non sa chi è ma agisce, Amleto sa bene tutto, ma non agisce. Il tema del gioco a “Dialoghi sull’uomo”, è stato, però, trattato anche sotto altri profili, nelle sue valenze meno positive. Come Fjodor, il protagonista di uno dei capolavori di Dostoevskij, “Il Giocatore”, sono ormai molte nel nostro Paese le persone schiave del gioco. Ne ha fatto cenno Marco Aime, docente di Antropologia culturale all’Università di Genova, quando ha illustrato le analogie fra “giocare in borsa” e il gioco d’azzardo: il brivido del rischio, il colpo fortunato che può cambiare la vita, sono spesso il motore di scelte incontrollabili e imponderabili. Analogie marcate – ha sottolineato – ricorrono tra il mondo della finanza, che ormai pervade il nostro modello economico e condiziona il nostro immaginario, il gioco e le credenze di stregoneria di popolazioni che spesso reputiamo (a torto) primitive. In tutti i casi ci si trova a confrontarsi con forze non controllabili dall’individuo coinvolto: si pensa di ottenere grandi vantaggi utilizzando strumenti che sono al di fuori di quelli quotidianamente usati e del nostro controllo. 

TOCCA TUTTI LA SFIDA DELLA PACE

A Modena

Alla fine di un’estate furiosa di scontri, bombardamenti, morti e dolore causati da guerre, il 20 settembre Papa Francesco ha chiamato il mondo alla preghiera per costruire insieme la pace. Lo ha fatto ad Assisi dove 500 esponenti di fedi e religioni diverse si sono riuniti, trent’anni dopo il primo evento voluto da San Giovanni Paolo II, in un incontro dal titolo “Sete di pace”, organizzato dalla Comunità di Sant’Egidio. Il tema dell’incontro è stato anticipato dal fondatore della Comunità Andrea Riccardi, nella lectio magistralis che ha tenuto il 16 settembre a Modena al “Festivalfilosofia”. Dal saggio che l’autore ne ha fatto per la testata Avvenire ci piace riportare alcuni spunti, che chiamano prepotentemente alla riflessione. Ricordando le parole di Papa Francesco, Riccardi ribadisce che tutte le religioni vogliono la pace e che le guerre vengono spesso fatte per interessi, soldi, risorse, dominio di popoli. La tragedia di Aleppo, tuttora in corso, ne è ennesima conferma. «Aleppo – ricorda – era un laboratorio di vita comune, forgiato nei secoli… La cultura aleppina era frutto di contaminazioni… La sua convivenza era risposta e proposta a un mondo che s’interroga su come vivranno in pace musulmani e cristiani… Uno dei grandi problemi della pace è ancorare robustamente le religioni a una pratica pacifica, perché non siano travolte nella legittimazione dell’odio… Nessuno ha avuto interesse a salvare Aleppo… Non si è voluto capire che con la guerra tutto era perduto. Le rovine di Aleppo testimoniano come settarismo, idiozia di potenti e cinismo abbiano perso per sempre la città del vivere insieme. Forse alcuni saranno contenti. Salvare Aleppo poteva essere una battaglia di civiltà. Voleva dire: abbiamo capito cos’è la pace! … Oggi, nel mondo globale, l’instabilità dei conflitti si comunica, mentre si aggrovigliano politiche e interferenze tipiche di un mondo multipolare. Oltre al bipolarismo russo-americano, tanti Stati possono aiutare la guerra, ma non riescono a fare la pace. Le opinioni pubbliche sono distratte nell’impotenza. Nel settembre 2013, per un momento, Francesco risvegliò il mondo, chiedendo non si bombardasse la Siria. E non avvenne! Bisogna risvegliare la gente sul tema della guerra. Nella guerra globale di Siria, abbiamo visto i governi prigionieri di cinismo e tatticismo. Nel confronto con essa, ricomprendiamo il valore della pace nel XXI secolo. La pace concreta deve ridiventare un tema d’interesse in una società conflittiva, non fosse per l’educazione alla sfida quotidiana della competizione. Deve risorgere l’interesse per la pace. Senza un movimento per la pace, questa non sarà raggiungibile con i rituali della diplomazia multipolare. Per costruirla, bisogna ripartire dalle situazioni di guerra: senza accettarla più, anche se con realismo. I cittadini d’Europa possono far molto, utilizzando la pace di cui godiamo e la possibilità di pressione e comunicazione. Ha scritto Bauman: “La fitta rete di interdipendenze ci rende tutti oggettivamente responsabili delle sofferenze altrui”. Internet è veicolo di attrazione alla violenza: un movimento di pace può servirsi degli stessi strumenti. Spero in un nuovo protagonismo civile sullo scenario internazionale. Tra l’altro, lo scenario internazionale e nazional-locale non sono così lontani. Agire per la pace ha una presa locale, nel mondo delle periferie urbane e nella realtà frammentata della società. Qui c’è una grande sfida, che il terrorismo ha colto: incanalare la radicalizzazione delle giovani generazioni (specie musulmane) contro le violenze. Qui bisogna ricreare tessuto umano e comunitario in società e periferie troppo conflittuali, atomizzate… La città, i singoli hanno nuove possibilità nel mondo globale». 

LO SPAZIO IN OGNI SUO SIGNIFICATO

A Sarzana

Quello di “spazio” è un concetto più che mai attuale: racchiude molteplici significati e può essere declinato in molti modi possibili, dalla necessità di uno spazio sociale alle recenti scoperte nello spazio interstellare, dallo spazio delle relazioni a quello geometrico, dallo spazio richiesto dai movimenti migratori a quello virtuale, geografico o architettonico. Dei tanti interventi svolti al tredicesimo “Festival della mente” di Sarzana riportiamo di seguito qualche breve sintesi, a partire da quella dell’intervento di Salvatore Veca, docente di Filosofia politica all’Istituto Universitario di Studi Superiori di Pavia, presidente della Fondazione Campus di Lucca e presidente onorario della Fondazione Feltrinelli, che ha parlato di: “Un’idea di spazio pubblico”. L’idea di spazio pubblico è una delle tessere fondamentali della forma di vita democratica. In genere, quando pensiamo a una forma di vita democratica, pensiamo a un regime politico che ospita istituzioni, norme di livello costituzionale e ordinario, provvedimenti e scelte collettive. E li consideriamo elementi fondamentali di un regime di democrazia pluralistica e rappresentativa che, grazie a regole, norme e procedure, si distingue da regimi autocratici o autoritari. Questo quadro è certamente fedele ma, al tempo stesso, incompleto. Uno dei tratti distintivi cruciali di una democrazia è infatti l’ampiezza e la ricchezza del suo spazio pubblico, in cui si esercita la libertà democratica per eccellenza, quella di condividere con altri cittadini modi di valutare e proporre soluzioni di problemi collettivi fra loro alternativi e confliggenti. Lo spazio pubblico, in questa prospettiva, è uno spazio sociale, e non già istituzionale. È lo spazio delle voci di cittadinanza. Lo spazio in cui possono emergere potenzialità altrimenti non espresse, bisogni altrimenti non visibili, speranze altrimenti opache e negate. È uno spazio pieno di dissonanze e piuttosto cacofonico. Ma quando i confini di questo spazio sono vietati o ristretti, quando viene meno l’esercizio della libertà democratica o i costi d’accesso allo spazio pubblico di una democrazia diventano terribilmente alti e ineguali, allora la qualità di una democraziamostra un deficit significativo e, a volte, severo. La questione centrale che emerge è quella dell’allineamento o del disallineamento fra spazio sociale e spazio istituzionale. Molti deficit e buona parte delle crisi entro le democrazie contemporanee emergono quando le voci di cittadinanza nello spazio pubblico, come spazio sociale, non trovano rispondenza entro lo spazio istituzionale dell’esercizio del potere temporaneo di governo delle società. All’intervento di Veca fa in qualche modo da contraltare quello del matematico, logico e saggista Piergiorgio Odifreddi, con un intervento dal titolo “Diamo spazio alla stupidità”, in cui ha ricordato che lo stesso Umberto Eco «la cui arguzia ci manca molto» sosteneva che il 90% della gente ne è affetto. «In particolare, – sostiene Odifreddi – ce ne saranno parecchi anche tra coloro che vanno a sentire una conferenza sulla stupidità, che parlerà di questa e altre leggi al proposito. Naturalmente siamo tutti d’accordo su quel 90%, anche perché tutti riteniamo di far parte del rimanente 10%: così siamo tutti contenti, e nessuno fa niente per eliminare la stupidità. La quale impera in tutti i campi dello scibile umano: la politica, la religione, la filosofia, la letteratura, l’arte, la vita sociale, la vita quotidiana». Come già diceva Aristofane nella commedia Le rane, siamo costretti a portarne tanta sulle spalle. «E – conclude – il motivo è, come diceva Forrest Gump, semplicemente, “shit happens”. Meglio saperlo, anche prima di andare a sentire una conferenza».  

“Fondazioni” settembre-ottobre 2016