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Francesco Zerilli, vedute e paesaggi

Dopo il viaggio siciliano raccontato dal taccuino dell’inglese Compton e dopo la Palermo Felice rappresentata da Houël, a Palazzo Branciforte, sede a Palermo della Fondazione Sicilia, prosegue il programma delle esposizioni dedicato al paesaggio siciliano. Fino al 2 novembre sono in mostra 22 opere, fra tempere e gouache, di Francesco Zerilli, realizzate a cavallo tra gli anni Venti e i Trenta dell’Ottocento. Allievo di Francesco Ognibene e di Giuseppe Patania, Zerilli (Palermo, 1793-1837) esordisce come pittore paesaggista nel 1819. La sua arte si inserisce in quella cultura figurativa che trae spunto dal vedutismo di Jacob Hackert, mediato dagli esempi dei palermitani Pietro Martorana e Alessandro D’Anna. Egli si afferma ben presto e spesso la sua clientela è internazionale, attratta da quei “paesaggi pregevolissimi per l’esattezza in corrispondenza del vero, per la precisione, per la grazia del pennello”, oltre che per l’abilità “nel campeggiare le arie, nel gitto delle ombre e nella diligenza nel ritrarre gli edifici”, come annota nel 1842 Agostino Gallo, primo biografo dell’artista. Una sicurezza del mestiere, coadiuvata dall’uso della camera ottica, che gli consente di accreditarsi come uno dei primi esecutori del metodo di raffigurazione circolare di una veduta. Nel rappresentare le città di Palermo, Siracusa, Catania, Messina e Napoli egli sperimenta svariati e nuovi punti di ripresa, distanziandosi dalle rappresentazioni documentaristiche e dal rigore del Neoclassicismo. Utilizza, infatti, panoramiche rialzate a volo d’uccello e prospettive radenti il mare, o ancora ribassate dalle coste, che gli permisero di indagare anche più volte lo stesso scorcio, esaltandone le piccole differenze dovute alle variazioni di luce. La calibrata disposizione delle quinte arboree, dei lungomari e delle rocce, la nitidezza delle vestigia del passato insieme alla misurata presenza umana, illustrano un quieto equilibrio tra natura e civiltà, sospeso in un’atmosfera rarefatta. La morte, avvenuta precocemente a seguito della grande epidemia di colera dilagata in Sicilia nel 1837, interruppe bruscamente la produzione dell’artista, ma la sua opera, erede della tradizione del vedutismo prospettico, rimane un fondamentale preludio nell’evoluzione della pittura di paesaggio in pieno Ottocento.

“Fondazioni” settembre-ottobre 2016