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Lavoro, asse portante su cui costruire la vita

La nostra Costituzione afferma che l’Italia è “una repubblica fondata sul lavoro”. I giovani italiani sembrano in perfetta sintonia con questo che è certamente un assioma culturale e valoriale, ma che ormai rischia di diventare soprattutto un obiettivo al quale è problematico ambire, un desiderio, quando non una chimera. Che intorno alla disponibilità di un lavoro, preferibilmente stabile, gravitino sostanzialmente tutti i progetti di vita dei nostri ragazzi emerge, ancora una volta, se ce ne fosse bisogno, dal Rapporto Giovani 2016, realizzato dall’Istituto Toniolo di Milano con il sostegno di Intesa Sanpaolo e della Fondazione Cariplo (Il Mulino, pp.264, € 20).

Redatto sulla base di un’indagine che ha coinvolto un campione di 9mila giovani tra i 18 e i 32 anni, il Rapporto mostra che il 91% degli intervistati concorda (molto o abbastanza) nel considerare il lavoro come uno strumento volto a procurare reddito, cruciale per affrontare il futuro (88%), necessario per costruirsi una vita famigliare (87,5%), utile per autorealizzarsi (85%).

Le condizioni in cui i giovani si trovano a operare sono, però, penalizzanti, anche se a loro non manca la voglia di esserci, di fare esperienze positive, di cogliere opportunità che dimostrino che un futuro diverso è possibile.

L’indagine rileva che in Italia 3 intervistati su 4 ritengono che nel proprio paese le opportunità offerte siano inferiori rispetto alla media degli altri paesi sviluppati; in Spagna si scende a meno di 2 intervistati su 3, meno di 1 su 5 in Francia e Gran Bretagna, meno di 1 su 10 in Germania. Di conseguenza, l’Italia è anche uno dei paesi in cui maggiore è la propensione ad andare all’estero per cogliere migliori opportunità di lavoro. Inoltre, riguardo alla possibilità di trovare un impiego adeguato e realizzare i propri progetti di vita, negli ultimi anni i giovani italiani sono diventati consapevoli dell’im portanza di tre aspetti: la disponibilità ad adattarsi, l’utilità di acquisire solide competenze al di là del titolo di studio, l’attenzione al reddito (e alla sua continuità) prim’ancora che alla realizzazione personale.

Il 55% considera infatti la capacità di adattarsi l’elemento più utile per trovare lavoro, seguito dalla solida formazione di competenze avanzate (20,1%) e dal titolo di studio (15,1%). Difficoltà e incertezze pesano, però, sulla visione del futuro e sulla fiducia sociale. In particolare, chi si trova nella condizione di Neet vede il futuro pieno di rischi e incognite nel 78% dei casi, contro il 72% di chi studia o lavora. Chi vede meno grigio è soprattutto chi ha un lavoro a tempo indeterminato (65%). Il 71% dei Neet ritiene anche che gran parte delle persone non sia degna di fiducia, contro il 66% di chi studia o lavora (si scende a 63,5% tra chi ha un lavoro a tempo indeterminato). Questa percezione di difficoltà e incertezza spinge al ribasso i progetti di vita, e compromette la formazione di una nuova famiglia.

Il numero di figli idealmente desiderato supera mediamente i 2, ma nel tempo si è ridotto sensibilmente il numero di bambini che si pensa di avere. Questo valore si attesta intorno a 1,5: un dato che comunque è vicino alla media europea e sensibilmente superiore al valore di 1,35 che è il dato effettivamente osservato in Italia nel 2015. Sull’intenzione di avere un figlio nei prossimi tre anni le analisi condotte nel Rapporto Toniolo confermano dunque l’importanza della condizione occupazionale.

Non avere un lavoro risulta, al netto di altri fattori, penalizzante nella scelta di avere un figlio. Poi conta non solo avere o meno un lavoro, ma anche la qualità del lavoro e la stabilità di reddito che esso offre. I risultati mostrano come non solo i Neet ma anche i lavoratori precari trovino rilevanti difficoltà nel completamento delle tappe per il raggiungimento dello stato adulto, caratterizzato dall’autonomia dai genitori fino alla formazione di una propria famiglia e alla nascita del primo figlio. Sono tappe dilazionate nel tempo dai giovani italiani, rispetto a quanto avviene per i coetanei europei.

Nel nostro Paese l’età media di uscita dalla famiglia d’origine è attorno ai 30 anni, mentre è inferiore ai 25 nei Paesi scandinavi, in Francia, in Germania e nel Regno Unito. In Italia meno del 12% dei giovani vive un’unione di coppia tra i 16 e i 29 anni: la metà rispetto alla media europea (elaborazioni su dati Eurostat). Di conseguenza siamo diventati, assieme alla Spagna, il paese con il tasso di fecondità più basso nella fascia entro i 30 anni. Un altro fattore cruciale per i giovani italiani è il sostegno della famiglia, a compensazione delle carenze degli strumenti di welfare, di orientamento formativo e di accompagnamento al lavoro. Il Rapporto mostra come l’influenza dei genitori risulti nel complesso maggiore in Italia – rispetto a Francia, Spagna, Germania e Regno Unito – sia sul percorso di studi dei figli, sia sulla scelta del lavoro e sulla carriera professionale. Peraltro, tra i giovani cresce la volontà di non subire solo i cambiamenti, ma di cogliere anche le opportunità.

La prima di queste è la formazione, con una scuola che incoraggi a essere protagonisti, non tanto e solo nel mercato del lavoro, ma ancor prima nella vita. È forte, in particolare, la consapevolezza che l’istruzione è soprattutto formazione di life skills, ovvero della capacità di stare con gli altri, di riflettere sul mondo che cambia, di aumentare conoscenze e abilità personali. E cresce la consapevolezza che oltre a una formazione di qualità servono anche esperienze “concrete”, utili a migliorare la conoscenza della realtà in cui si vive e ad accrescere la propria capacità di intervenire positivamente su di essa.

Il volontariato e il servizio civile sono considerate palestre importanti sia per migliorare il contesto sociale in cui si vive, sia per arricchirsi di competenze utili per la propria vita sociale e lavorativa. Il valore dello stare e del fare con gli altri è confermato anche dalla crescita della sharing economy, in forte coerenza con le sensibilità delle nuove generazioni e la necessità di avere accesso a beni e servizi a basso costo. La combinazione tra nuove tecnologie, costi accessibili e condivisione di esperienze sta aprendo opportunità inedite in ogni ambito: dal co-working alla fruizione culturale, fino alle modalità di consumo.

“Fondazioni” maggio-giugno 2016