È stato lui che ha dato inizio alla pittura americana: Edward Hopper, nato e cresciuto a Nyack – una piccola città nello Stato di New York – nel 1882 e scomparso nel 1967. Fino a quel momento gli Stati Uniti vivevano l’arte quasi esclusivamente come fenomeno di importazione dall’Europa.
Hopper, tra gli interpreti più innovativi della tradizione realista d’oltreoceano, canta l’America rurale contrapposta a quella delle grandi metropoli, brulicanti di umanità spesso alienata.
Nella splendida cornice di Palazzo Fava a Bologna, una ricca mostra, organizzata grazie alla Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna e a Genus Bononiae Musei nella Città, ripercorre la carriera del pittore, attraverso 58 capolavori provenienti dal Whitney Museum di New York.
Lungo le sale di Palazzo Fava si snodano sei sezioni, tematiche e cronologiche al contempo: dalla formazione accademica dell’artista agli anni di studio a Parigi, quando entrò in contatto con il movimento impressionista, fino ai capolavori degli anni Trenta, Quaranta e Cinquanta, per arrivare alle intense immagini dell’ultimo periodo. Cuore della sua poetica è la solitudine esistenziale dell’uomo. Le pompe di benzina abbandonate, le donne semisvestite in attesa davanti a una finestra o a una porta, le stanze da letto vuote, i letti sfatti, i personaggi dallo sguardo rivolto verso l’orizzonte, le ombre che si allungano sulle strade illuminate dai lampioni, gli uomini seduti al bancone di un bar che bevono a capo chino.
Attraverso di loro Hopper illustra il disagio del vivere, immortalando il silenzio e l’immobilità. «Nelle sue tele – come scrivono nella loro presentazione Leone Sibani, presidente della Fondazione, e Fabio Roversi-Monaco, presidente di Genus Bononiae – Hopper mette in discussione il sogno americano: ma nel rivelare la disillusione, indica la strada per una rinascita, per la conquista di un’esistenza più consapevole».
Fra le opere esposte fino al 24 luglio alcuni celebri capolavori: “South Carolina Morning” (1955, foto a destra), “Second Story Sunlight” (1960, foto a sinistra), “New York Interior” (1921), “Le Bistro or The Wine Shop” (1909), “Summer Interior” (1909), ma anche interessantissimi studi (come quello per Girlie Show del 1941) che celebrano Hopper superbo disegnatore e alcuni degli acquerelli realizzati durante le estati trascorse a Gloucester (Maine) e a partire dal 1930 a Truro (Massachusetts). Opere che raffigurano dune di sabbia arse dal sole, fari e modesti cottage, animati da sensuosi contrasti di luce e ombra. Dipinti che evocano sempre delle storie, pur lasciando irrisolte le azioni dei personaggi.
La mostra, insomma, è un percorso che attraversa la produzione e tutte le tecniche di un artista considerato oggi un grande classico della pittura del Novecento. Prestito eccezionale è il grande quadro intitolato “Soir Bleu” (ha una lunghezza di circa due metri), opera realizzata nel 1914 a Parigi.
L’esposizione è curata da Barbara Haskell, proveniente dal Whitney Museum, in collaborazione con Luca Beatrice. Il Whitney Museum ha ospitato varie mostre di Hopper, dalla prima nel 1920 al Whitney Studio Club a quelle memorabili del 1950, 1964 e 1980. Inoltre dal 1968, grazie al lascito della vedova Josephine, ospita tutta l’eredità dell’artista: più di 3.000 opere tra dipinti, disegni e incisioni.
Grazie alla collaborazione con le istituzioni culturali bolognesi, durante il periodo di apertura della mostra, dal 25 marzo al 24 luglio, si svolge una serie di attività correlate per omaggiare l’opera e la poetica di Hopper. Dal 7 aprile al 26 giugno l’Istituzione Bologna Musei – Museo Morandi ha presentato un focus di paesaggi morandiani dialogando a distanza con i lavori dell’artista americano, mettendo così in evidenza analogie e differenze e soffermandosi in particolare sullo studio della luce.
È stata esposta una selezione di lavori trasversale alle tecniche utilizzate da entrambi gli artisti: dipinti, acquerelli e incisioni. La Fondazione Cineteca di Bologna ha proposto, invece, una rassegna che racconta l’influenza di Hopper sul cinema, a partire dal cinema noir fino ad arrivare a “Shirley – Visions of Reality” di Gustav Deutsch (2013).
La rassegna, iniziata a maggio al Cinema Lumière, prevede anche degli appuntamenti all’interno del programma delle arene estive. Infine, l’Istituzione Biblioteche di Bologna organizza alcune conferenze dedicate al rapporto fra la pittura di Hopper e la contemporanea letteratura americana.