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Povertà e disagio minorile in Italia

La cronaca di questi giorni continua a raccontarci di drammatici sbarchi di migranti sulle coste meridionali dell’Europa e molti sono i bambini. Tanti, purtroppo, perdono la vita tra le onde e troppi non si trovano una volta a terra: negli ultimi 18-24 mesi oltre diecimila minori non accompagnati, dopo essere arrivati nel Vecchio Continente, sono letteralmente scomparsi; cinquemila di questi sono spariti in Italia, altri mille in Svezia.

A lanciare l’allarme è stata l’agenzia di intelligence europea Europol, che ha portato ancora una volta l’attenzione su questi piccoli, che sono i più vulnerabili della terra, a cui ogni paese civile dovrebbe dare protezione. Ma non è così, perché i diritti dei più deboli sono spesso i più disattesi, in particolare se intervengono in un contesto di fragilità, dove le difficoltà riescono a volte a travalicare anche la più sincera volontà di prendersene cura.

Secondo il “Rapporto Italia”, condotto da Eurispes, il numero di minori stranieri non accompagnati presenti in Italia che richiedono protezione internazionale (MSNA) è in crescita: al 31 agosto 2015 sono aumentati dell’8,6% rispetto all’anno precedente. Un terzo delle domande (33,8%) viene da parte di minori nati in Gambia; seguono il Senegal (12,2%), la Nigeria (11,9%), il Bangladesh (10,2%). Sono in prevalenza maschi tra, i 16 e i 17 anni, ed è soprattutto il Sud Italia ad accogliere i minori stranieri non accompagnati, con al primo posto la Sicilia, seguita da Calabria e Lazio. Quasi la metà delle persone minorenni registrate in Sicilia (1.734 su 3.878) risultano però irreperibili dopo la registrazione. La stessa cosa accade in Calabria (255 irreperibili su 441) e in Puglia (150 su 877).

Ma qual è in generale la situazione dei bambini in Italia?

Alla fine del 2014 la Commissione Parlamentare per l’Infanzia e l’Adolescenza ha presentato un’indagine che rivela come il perdurare della crisi economica abbia prodotto effetti dirompenti sulla qualità della vita delle fasce più deboli della nostra società e, in particolare, proprio dei minori. «Non avere la possibilità di fare almeno un pasto al giorno contenente carne o pesce, la mancanza di indumenti nuovi, di avere libri da leggere, l’opportunità di fare sport e altre attività ricreative sono la difficile quotidianità che troppi bambini e adolescenti affrontano anche nel nostro Paese» ha affermato il presidente del Senato Pietro Grasso, alla presentazione del rapporto. «È ormai ampiamente riconosciuto – ha segnalato – che l’assenza di lungimiranti politiche di assistenza dei minori che vivono in condizioni difficili, tanto sul piano della loro sicurezza materiale quanto su quello della loro educazione, si traduce, in prospettiva, in oneri futuri particolarmente impegnativi per l’intero sistema Paese».

Secondo quanto emerge dall’indagine l’aumento della povertà infantile in Italia è il risultato della compresenza di due fattori: la crescita della povertà assoluta al Sud e il peggioramento della situazione delle famiglie operaie e straniere al Nord, in particolare quelle con più figli. L’indagine evidenzia, inoltre, che la povertà materiale è spesso causa di povertà educativa e che quest’ultima, a sua volta, potrà originare nuova povertà materiale, in un circolo vizioso che è necessario interrompere. Ma che cosa significa “povertà educativa”?

Nell’indagine questo concetto descrive un ambito più ampio di quello meramente scolastico, indicando come tale “la privazione, per un bambino o un adolescente, della possibilità di apprendere, di sperimentare le proprie capacità, di sviluppare e far fiorire il proprio talento. Il riferimento è a tutto ciò che riguarda la sfera cognitiva, ovvero alle competenze necessarie a vivere in un mondo caratterizzato dall’economia della conoscenza, dall’innovazione, ma anche dalla limitazione dell’opportunità di crescere dal punto di vista emotivo, nelle relazioni con gli altri e con se stessi.

Il termine educativo è quindi utilizzato in senso lato, arrivando a comprendere la scoperta del mondo e lo sviluppo fisico”. Prendendo in considerazione alcuni parametri, come la copertura dei nidi e i servizi integrativi, le classi a tempo pieno nella primaria e nella secondaria di primo grado, le istituzioni scolastiche con servizio mensa, le scuole con certificato di agibilità, le aule connesse a internet e la dispersione scolastica, ma anche l’educazione fuori dal contesto scolastico, come l’andare a teatro, ai concerti e ai musei, l’utilizzo di internet, la pratica dello sport e la lettura di libri, l’indagine mostra forti discrepanze fra il Nord e il Sud del Paese; in particolare la regione dove si riscontra la minore presenza di servizi educativi è la Campania, seguita ex aequo da Puglia e Calabria e poi dalla Sicilia. In queste regioni, secondo i parametri esaminati, l’offerta di servizi educativi è risultata inadeguata, e ciò pone un ulteriore problema, perché si tratta di regioni già caratterizzate da una maggiore presenza di povertà materiale.

Vi è, quindi, una povertà materiale e, al tempo stesso, la mancanza di opportunità per uscire dal circolo vizioso. Inoltre, in queste regioni, il dato sulla dispersione scolastica raggiunge valori elevati, con punte del 22% in Campania e del 25,8% in Sicilia. Peraltro valori simili sono presenti in misura significativa anche in alcune regioni del Nord: in Val d’Aosta, ad esempio, raggiunge il 19,1%, mentre nella provincia autonoma di Bolzano tocca il 16,7%. Questi dati, già di per sé preoccupanti, lo divengono ancor di più se posti in relazione con l’obiettivo europeo di ridurre tale percentuale a un valore inferiore al 10% entro il 2020.