Siamo quasi alla fine del 2015 e la crisi è ancora parte integrante della vita degli italiani, che tuttora la percepiscono come grave (l’80%) e ritengono che durerà ancora per altri cinque anni. Però, il pensiero quasi nascosto di molti pare essere: “La crisi c’è, ma non per me”. Migliorano, infatti, sensibilmente le prospettive personali, ma anche quelle nazionali. È quanto emerge dall’indagine Acri- Ipsos su “Gli italiani e il risparmio” condotta in occasione della Giornata Mondiale del Risparmio e giunta quest’anno alla quindicesima edizione.
Le famiglie colpite direttamente dalla crisi sono ancora molte – 1 su 4 (il 25% contro il 27% del 2014 e il 30% del 2013) – ma il numero di soddisfatti rispetto alla propria situazione economica (il 55% della popolazione), per la prima volta dopo quattro anni, supera quello degli insoddisfatti: di ben 10 punti percentuali.
Tutte le aree del Paese denotano un miglioramento, ma questo è particolarmente visibile nel Nord Ovest, dove sono soddisfatte 2 persone su 3 (67% di soddisfatti, +9 punti percentuali rispetto al 2014). Al contempo si riduce il numero di coloro che denunciano un peggioramento del proprio tenore di vita. Nel 2015 sono il 18%, contro il 23% del 2014, il 26% del 2013 e del 2012. Anche in questo caso il dato migliora particolarmente nel Nord Ovest, dove chi vede un peggioramento passa dal 20% al 13%, ma pure nel Sud, ove il dato si riduce dal 28% al 22%. Inoltre 1 italiano su 20 (5%) dichiara di aver sperimentato un miglioramento del proprio tenore di vita, accreditando un’importante inversione di tendenza, quantunque di misura contenuta, rispetto a un dato che era andato riducendosi anno dopo anno a meno del 2%. Riguardo al futuro, il numero dei fiduciosi su un miglioramento del proprio tenore di vita è superiore a quello degli sfiduciati (13% gli sfiduciati, 26% i fiduciosi, saldo +13): un dato questo su cui incide il forte recupero di fiducia presso i giovani (18-30 anni) per i quali il saldo tra ottimisti e pessimisti raggiunge il livello di +23 (quasi il doppio dell’ottimo +12 del 2014), ma anche degli over 65 che, dopo otto anni di negatività, tornano in una situazione di equilibrio tra pessimisti e ottimisti. Rispetto alla situazione locale prevale di poco il pessimismo: coloro che hanno poca fiducia superano di 1 punto percentuale i fiduciosi (24% vs 23%). C’è un generale ottimismo nel Nord Ovest (+7 punti di saldo tra ottimisti e pessimisti), nel Nord Est (+7) e nel Centro (+6), mentre il Sud denota pochissima fiducia nel territorio locale (-14 punti di saldo negativo riguardo al territorio, mentre riguardo all’Italia nel suo complesso il saldo nel Sud è positivo di +3).
Oggi più di 1 italiano su 3 è fiducioso sul futuro dell’Italia (36%), mentre gli sfiduciati sono il 27%: un saldo positivo di 9 punti percentuali a favore degli ottimisti che, unito al miglioramento del saldo dello scorso anno, evidenzia una tendenza di robusta crescita della fiducia nel Paese (l’anno scorso il saldo era ancora negativo, -15, ma già in forte miglioramento; due anni fa era -23).
Nel 2015, dunque, il saldo tra ottimisti e pessimisti passa da -15 dello scorso anno al +9 attuale: un miglioramento di 24 punti percentuali! Il 34% degli italiani ritiene che la situazione italiana rimarrà inalterata (il 3% non si esprime). Registrano, invece, un ridimensionamento importante le attese riguardo all’andamento dell’economia mondiale: il 30% degli italiani sono ottimisti, il 22% pessimisti.
Riguardo all’Europa, il percepito dei nostri concittadini è tinto di chiaroscuri. Per quanto riguarda le prospettive economiche future continua a prevalere l’ottimismo, anche se i dati si dimostrano abbastanza statici: il saldo è positivo di 8 punti percentuali per i fiduciosi, attestati al 32%. Ma dal punto di vista politico, anche se nel 2015 coloro che hanno fiducia nell’Unione Europea (il 51%) rimangono maggioritari, si registra un 49% di italiani che non hanno fiducia; inoltre quelli che hanno una bassa fiducia (il 24%) sono molti di più di coloro che hanno grande fiducia (il 15%) e dal 2009 a oggi coloro che hanno fiducia sono arretrati di ben 18 punti percentuali. Peraltro, molti italiani ritengono che l’Europa stia riguadagnando centralità nello scacchiere internazionale: se solo tre anni fa il pendolo del futuro pareva spostarsi decisamente verso Est, a favore dei Brics e in seconda battuta degli Usa, ora la situazione appare differente e l’Europa riacquista centralità.
Dei Brics, solo la Cina mantiene le proprie posizioni di vertice nelle aspettative degli italiani, ma se nel 2012 il 60% la ritenevano tra i paesi più importanti per il futuro, ora il dato è sceso al 47%. Nel contempo gli Stati Uniti riacquistano posizioni, passando dal 34% al 42% di italiani che ne reputano centrale il ruolo per il futuro, mentre al terzo posto risale l’Europa, dal 19% al 25%.
Sembra, però, che gli italiani vogliano una nuova Europa. Auspicano un’Europa che sappia soprattutto ridurre le diseguaglianze, tra paesi (economiche, fiscali, legali) e tra i cittadini (sulla distribuzione del reddito e sulla parità di genere); un’Europa anche più attenta ai cittadini, specie quelli più giovani, e alle imprese; un’Europa che investa in ricerca e sviluppo. Un’Unione Europea che punti più sulle piccole imprese (77%) che non sulle grandi (17%) quale asse portante del proprio contesto produttivo, che abbia sempre più a cuore agricoltura e industria (76%) piuttosto che servizi e informatica (19%), che definisca una maggiore uniformità legislativa nell’economia (64%) piuttosto che lasciare completa autonomia ai paesi (28%).
Queste sono le caratteristiche che dovrebbe avere primariamente. Ma deve anche essere un’Europa che faccia crescere e sviluppare tutti i territori (62%), piuttosto che puntare al mero spostamento dei lavoratori tra i paesi (33%); che si possa allargare (49%, che arriva al 61% tra i giovani) piuttosto che restringersi (42%), ma che si sviluppi anche in modo che, nel farsi ancor più “Unione Europea”, non annulli le specificità dei singoli paesi, anzi le sappia valorizzare. Un’Europa che abbia una Costituzione comune (invocata dal 65% degli italiani, in crescita rispetto al 55% del 2007) per condividere con certezza i principi fondamentali.
Gli italiani ritengono che se non ci fosse stato il percorso di integrazione europea l’Italia sarebbe più arretrata, con meno giustizia sociale, meno importante sulla scena internazionale, e forse un po’ più povera. Però sarebbe anche più libera. Otto anni fa la percezione a questo riguardo era opposta: cioè la maggioranza riteneva che senza l’integrazione europea l’Italia sarebbe stata meno libera; questo capovolgimento d’opinione insieme al ridimensionamento della percezione dei vantaggi derivanti da 50 anni di Europa unita dovrebbe indurre una riflessione in merito alla distanza tra le attese dei cittadini italiani e la risposta che a esse arriva dall’Unione Europea.
Riguardo all’Euro la soddisfazione è molto bassa: quasi 3 italiani su 4 ne sono insoddisfatti (il 71%, dato in leggero calo rispetto al 74% del 2014), anche se la maggior parte degli italiani è convinta della sua utilità nel lungo periodo. Ma in ogni caso, l’Europa viene assolta dalla responsabilità della crisi italiana: solo il 4% dei cittadini imputa ogni responsabilità all’Europa e ben il 48% ritiene che la situazione attuale sia causata dal malgoverno del Paese negli ultimi anni e dalle mancate riforme. Dunque, gli italiani, seppur delusi, ritengono che in questa situazione l’Unione Europea sia soprattutto un importante e indispensabile aiuto in un momento di crisi (55%), anche se non sono pochi coloro che la ritengono un ulteriore aggravio che rende ancor più complesso il superamento della crisi (45%).
Riguardo al risparmio, per la prima volta dopo 4 anni il numero di persone che non vivono tranquille se non mettono da parte dei risparmi è superato da quello di coloro che risparmiano solo se ciò non comporta troppe rinunce: il 48% contro il 42%. Questo non vuol certo dire che gli italiani non siano più un popolo di risparmiatori. Anzi. Vuol dire che hanno meno ansia riguardo al risparmio per il futuro. Per il terzo anno consecutivo, infatti, la quota di italiani che negli ultimi dodici mesi hanno effettivamente risparmiato cresce, di 4 punti percentuali, passando dal 33% del 2014 al 37% attuale, il dato più alto dal 2010. Al contempo si riducono per il terzo anno di fila, e in modo consistente, le famiglie in saldo negativo di risparmio, dal 25% del 2014 al 22% attuale (un dato così ridotto non lo si vedeva dal 2005).
È interessante notare che la crescita di chi è riuscito a risparmiare è sostanzialmente legata al Nord Ovest (il 48% è riuscito a risparmiare) e ai giovani (il 50% ha risparmiato). Gli anni di crisi hanno comunque ridotto le riserve di denaro di molte famiglie. Nonostante i miglioramenti in termini di risparmio, ancora oggi quasi 1 famiglia su 4 (il 23%, in diminuzione rispetto al 2014) dice che non riuscirebbe a far fronte a una spesa imprevista di 1.000 euro con risorse proprie. Se la spesa imprevista fosse maggiore, 10.000 euro, potrebbe farvi fronte poco più di 1 famiglia su 3 (il 35%, -2 punti percentuali rispetto al 2014).
Questi dati, combinati fra loro, fanno comprendere come i segni di miglioramento riguardino solo una parte del Paese: quelli che hanno ridotto i timori legati alla crisi. Chi ha risorse disponibili mantiene una forte preferenza per la liquidità: riguarda quasi 2 italiani su 3; inoltre chi investe lo fa solo con una parte minoritaria dei propri risparmi. È da notare comunque come uno scenario meno negativo incrementi la volontà di investire – in tutto o in parte – i propri denari: i potenziali investitori salgono, infatti, dal 30 al 34%.
Rispetto al 2014 la situazione delle scelte di investimento è sostanzialmente costante: si riduce di un punto la quota di italiani possessori di certificati di deposito e di obbligazioni (9%), di titoli di stato (7%) e di fondi comuni di investimento (13%); si riducono di 2 punti i possessori di azioni (6%), mentre cresce di 1 punto la quota di coloro che dichiarano di aver sottoscritto assicurazioni sulla vita/fondi pensione (dal 24% al 25%), salgono lievemente i possessori di libretti di risparmio (dal 22% al 23%). Riguardo all’investimento ideale si registra una riscossa del mattone. Nel 2006 la percentuale di coloro che vedevano nel mattone l’investimento ideale era il 70%, scesa progressivamente fino al 24% del 2014; nel 2015 essa risale di ben 5 punti percentuali, raggiungendo il valore del 29%.
L’immobiliare torna di nuovo a essere l’investimento ideale nel Centro e nel Sud. Rimangono in maggioranza relativa (il 35%) coloro che reputano questo il momento di investire negli strumenti ritenuti più sicuri (risparmio postale, obbligazioni e titoli di Stato) e si trovano prevalentemente nel Nord Italia.
Il numero complessivo degli amanti dei prodotti più a rischio cresce anch’esso, attestandosi al 9%. Perde ben 5 punti percentuali il gruppo di coloro che ritengono sbagliato investire in una qualsiasi forma (il 32% nel 2013 e nel 2014, il 27% nel 2015). Peraltro, gli italiani continuano a non ritenersi sufficientemente tutelati da leggi e controlli: anche se il dato è in miglioramento (il 58% parla di norme e controlli non efficaci, ma erano il 65% nel 2014 e il 72% nel 2013) e non c’è fiducia che questa tutela aumenti nei prossimi 5 anni (il 22% pensa che il risparmiatore sarà più tutelato, mentre il 59% ritiene che lo sarà meno).
Una certa normalizzazione dello scenario economico del Paese induce sempre più italiani a concentrarsi sul presente, piuttosto che sul futuro, e ad avere un atteggiamento un po’ più rilassato rispetto ai consumi, soprattutto presso le classi medie e più abbienti, che oggi tornano a consumare, anche se in modo più cauto rispetto a prima della crisi. Le loro spese si indirizzano soprattutto verso elettronica e telefonia, prodotti alimentari e spese per l’auto. I diversi settori denotano comunque tutti un cambiamento di rotta che riduce la negatività. Rimane ancora poco fruito il fuori-casa, anche se il saldo complessivo per viaggi e vacanze, pur negativo di -43 punti percentuali, è in netto miglioramento rispetto al dato di -54 del 2014.
Così è anche per il comparto ristoranti, bar e pizzerie, la cui frequentazione negli ultimi 2-3 anni si è ridotta per il 51% degli italiani, mentre solo il 6% dichiara di averla incrementata e il 43% di averla tenuta costante: il saldo negativo tra chi ha incrementato e chi ha ridotto è di -45 punti percentuali, ma è meno negativo rispetto al -55 dell’anno scorso. Lo stesso vale per cinema, teatro e concerti, la cui frequentazione si è ridotta per il 48% degli italiani, con un saldo negativo tra incrementi e diminuzioni di -43 punti (era -51 nel 2014). Anche vestiario, abbigliamento e accessori registrano un saldo negativo di -33 punti, ma è molto inferiore a quello del 2014 (-45 punti); così per libri, giornali e riviste, il cui saldo negativo passa da -28 a -20; per la cura della persona, da -28 a -21; per i giochi e le lotterie, da -25 a -18.
Molto significativa è la riduzione di negatività nel settore dell’auto e dei trasporti, e le informazioni sulle nuove immatricolazioni nel 2015 sostengono l’evidenza: il saldo negativo passa da -22 punti a -6. Prodotti alimentari e per la casa ed elettronica e elettrodomestici evidenziano saldi poco problematici e molto migliori rispetto a quelli del 2014: registrano un saldo negativo rispettivamente di -5 e -3 punti percentuali, molto lontani dal -18 di entrambi dello scorso anno. Telefono e telefonia tornano in positivo, con un saldo positivo di 8 punti percentuali (-7 nel 2014).
Nei medicinali, infine, non c’è crisi che tenga: continuano ad essere acquistati sempre di più. Coloro che ne hanno incrementato il consumo (il 29%) sono assai più di coloro che lo hanno ridotto (il 10%); il saldo è decisamente positivo e in linea con il 2014 (+19 punti percentuali nel 2015, +20 nel 2014).