Una macina e un macinello in pietra stanno rivoluzionando le conoscenze sull’alimentazione dei primi Homo sapiens. È infatti emerso che l’uomo preistorico era più vegetariano di quanto fino ad ora fosse noto e che già 30.000 anni fa si nutriva di farine ricavate macinando varie piante selvatiche; potremmo dire che già “seguiva” la Dieta Mediterranea! Sono alcune delle clamorose scoperte documentate nella mostra “30.000 anni fa la prima farina. Alle origini dell’alimentazione” allestita fino al 3 gennaio allo Spazio Mostre dell’Ente Cassa di Risparmio di Firenze.
Si tratta della rappresentazione, con un forte taglio divulgativo e anche scenografico, dei primi risultati del progetto di ricerca “Le risorse vegetali nel Paleolitico” condotto da Anna Revedin dell’Istituto Italiano di Preistoria e Protostoria in collaborazione con la Soprintendenza Archeologia della Toscana e con il Dipartimento di Biologia dell’Università di Firenze, reso possibile dal contributo dell’Ente Cr Firenze. Tutto è nato dalla scoperta di una macina, usata per produrre la più antica farina della storia, e di un macinello-pestello avvenuta nel 1992, tra i circa 40.000 manufatti rinvenuti in uno scavo in località Bilancino, nel Mugello, oggi sommerso da un invaso artificiale che fornisce l’acqua a Firenze.
Le analisi condotte su questi oggetti, e sui sedimenti che ancora erano presenti, hanno infatti rivelato che i nostri progenitori del Paleolitico superiore erano già in grado di trasformare, elaborare e consumare prodotti derivati dalla raccolta dei vegetali selvatici, creando in qualche modo le premesse tecniche per un processo che diventerà parte integrante della “invenzione” dell’agricoltura, circa 10.000 anni fa.
Un’altra importante scoperta, appena pubblicata sulla prestigiosa rivista scientifica Proceedings of the National Academy of Sciences (Usa) e legata a questo progetto, aggiunge importanti elementi sulla dieta dei nostri antenati. A Grotta Paglicci, in Puglia, dove Annamaria Ronchitelli dell’Università di Siena conduce le ricerche, su un pestello di 33.000 anni fa sono state trovate tracce di amidi di varie piante selvatiche. Per la prima volta è testimoniato l’utilizzo di un cereale – l’avena – che sarà coltivato solo migliaia di anni dopo e che è ancora molto utilizzato in Nord Europa. L’avena, tra l’altro, sta suscitando grande interesse fra i nutrizionisti per le sue molteplici proprietà alimentari, compresa l’assenza di glutine e il basso indice glicemico.
Le analisi di laboratorio svolte dal Dipartimento di Biologia dell’Università di Firenze hanno dimostrato che già nel Paleolitico essa veniva tostata prima della macinazione, come ancora oggi viene fatto, per migliorarne le proprietà alimentari e organolettiche. Cambia così lo scenario delle conoscenze sull’economia e la vita di 30.000 anni fa: dalla possibilità che allora si aveva di conservare e trasportare un alimento altamente energetico alla elaborazione di “ricette” necessarie per rendere digeribili i carboidrati attraverso vari tipi di cottura, fino alla complessa gestione delle risorse del territorio. Queste scoperte mettono anche in evidenza l’importanza della raccolta, attività tradizionalmente svolta dalle donne, e quindi degli alimenti vegetali nella dieta umana fin dal Paleolitico.
Si ridimensiona così il ruolo finora attribuito alla caccia, dovuto al fatto che gli animali costituivano il soggetto principale dell’arte rupestre paleolitica e che le loro ossa si conservano molto meglio dei resti vegetali.