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Boldini. Lo spettacolo della modernità

Sa di primavera, la primavera delle donne in fiore di Giovanni Boldini, la mostra allestita fino a metà giugno ai Musei San Domenico di Forlì. Come ogni anno la Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì ha progettato e sostenuto la realizzazione di un grande evento espositivo, dedicato in quest’occasione alla vicenda di quello che fu certamente il più grande e prolifico tra gli artisti italiani residenti ai suoi tempi a Parigi. Dopo la rassegna dedicata nel 2012 a Wildt (che sarà protagonista nel 2015 di una mostra realizzata dal Musée d’Orsay all’Orangerie di Parigi in collaborazione con la Città di Forlì e la Fondazione) e le due successive sul Nove cento e il Liberty, con la mostra “Boldini. Lo spettacolo della modernità”, la Fondazione e i Musei San Domenico proseguono nell’esplorazione della cultura figurativa tra Otto e Novecento.

Giovanni Boldini (Ferrara 1842 – Parigi 1931) nella sua lunghissima carriera, caratterizzata da periodi tra loro diversi a testimonianza di un indiscutibile genio creativo e di un continuo slancio sperimentale, che si andrà esaurendo alla vigilia della prima Guerra Mondiale, ha goduto di una straordinaria fortuna, pur suscitando spesso accese polemiche, tra la critica e il pubblico.

Amato e discusso dai suoi primi veri interlocutori, come Telemaco Signorini e Diego Martelli, fu poi compreso e adottato negli anni del maggiore successo dalla Parigi più sofisticata, quella dei fratelli Goncourt e di Proust, di Degas e di Helleu, dell’esteta Montesquiou e della eccentrica Colette. Fino a essere definito un classico – “C’est un classique!” – in occasione della prima esposizione postuma che si tenne a Parigi a pochi mesi dalla morte. «Il classico di un genere di pittura», ribadì in quella occasione Filippo de Pisis.

Rispetto alle recenti mostre sull’artista, questa forlivese si differenzia per una visione più articolata e approfondita della sua multiforme attività creativa, intendendo valorizzare non solo i dipinti, ma anche la straordinaria produzione grafica, tra disegni, acquerelli e incisioni. Le ricerche più recenti di Francesca Dini (curatrice della mostra insieme a Fernando Mazzocca) consentono di arricchire il percorso con la presentazione di nuove opere, sia sul versante pittorico che, in particolare, su quello della grafica. Uno dei punti di maggior forza, se non quello decisivo, è la riconsiderazione della prima stagione di Boldini negli anni che vanno dal 1864 al 1870, trascorsi prevalentemente a Firenze a stretto contatto con i Macchiaioli.

Questa fase, caratterizzata da una produzione di piccoli dipinti (soprattutto ritratti) davvero straordinari per qualità e originalità, è vista in una nuova luce grazie alla possibilità di presentare parte del magnifico ciclo di dipinti murali realizzati tra il 1866 e il 1868 nella Villa detta la “Falconiera”, a Collegigliato presso Pistoia, residenza della famiglia inglese dei Falconer. Si tratta di vasti paesaggi toscani e di scene di vita agreste che consentono di avere una visione più completa del Boldini macchiaiolo. Le prime sezioni, nelle sequenza delle sale al piano terra, sono dedicate all’immagine dell’artista rievocata attraverso autoritratti e ritratti; alla biografia per immagini (persone e luoghi frequentati); all’atelier; alla grafica così rivelatrice della sua incessante creatività. Le sezioni successive, al primo piano, dopo il ciclo della “Falconiera”, ripercorrono, attraverso i ritratti di amici e collezionisti, la grande stagione macchiaiola. Segue la ricostruzione della prima fase successiva al definitivo trasferimento a Parigi, caratterizzata dalla produzione degli splendidi paesaggi e di dipinti di piccolo formato con scene di genere, legata al rapporto privilegiato con il celebre e potente mercante Goupil. Quindi le scene di vita moderna, esterni ed interni, dove Boldini si confronta con gli altri italiani attivi a Parigi, come De Nittis, Corcos, De Tivoli e Zandomene ghi e si afferma come uno dei maggiori interpreti del – la metropoli francese negli anni della sua inarrestabile ascesa come capitale mondiale dell’arte, della cultura e della mondanità. Seguono, infine, le sezioni dedicate alla grande ritrattistica, che lo vedono diventare il protagonista in un genere, quello del ritratto mondano, destinato a una straordinaria fortuna internazionale.

A questo proposito costituisce una novità la possibilità di accostare per la prima volta ai suoi dipinti le sculture di Paolo Troubetzkoy in un confronto interessante sia sul piano iconografico che formale. Chi andrà ai Musei San Domenico potrà soffermarsi ad apprezzare anche alcune decorazioni dell’antico refettorio di recente restaurate. Sulla parete nord-est un affresco tripartito, attribuito a Girolamo Ugolini figlio di Marco Antonio Argentiere, che presenta al centro la Crocifissione e ai lati due scene riferite ad eventi particolarmente significativi della vita di San Domenico. Sulla parete sud-ovest, invece, un dipinto murale dai toni squillanti e i cangiantismi, che testimonia la cultura artistica policentrica propria del territorio forlivese, che nel Cinquecento ruota fra arcaismi neo-quattrocenteschi e innovazioni desunte dalla grande maniera consolidata a Roma da Michelangelo e Raffaello.


da “Fondazioni” marzo-aprile 2015