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Microcredito: le nuove norme al vaglio degli operatori

Da sei anni in Acri è stata costituita una Commissione, presieduta dal vicepresidente dell’Associazione Luca Remmert, dedicata all’approfondimento delle problematiche legate al microcredito, uno strumento finalizzato al supporto di soggetti “non bancabili”. Le Fondazioni lo utilizzano nel campo delle attività di welfare, in quanto idoneo a contrastare il fenomeno dell’usura e a rispondere ai bisogni delle nuove povertà legati a una riduzione della capacità reddituale. Tramite il microcredito, infatti, si può anche favorire lo sviluppo economico delle persone – in particolare giovani, disoccupati, donne, immigrati – attraverso la promozione di iniziative autonome di auto-impiego, come attestano le statistiche relative al settore, che accreditano a oltre il 70% le iniziative finalizzate in questo senso (76 milioni di euro sui 100 milioni di microprestiti erogati nel 2013; fonte Ente nazionale per il Microcredito). Dunque, le Fondazioni hanno subito sperimentato questo strumento in ragione della necessità di fornire al loro territorio di riferimento un aiuto in un momento di particolare crisi economica e finanziaria; e lo hanno fatto attraverso la costituzione di fondi di garanzia presso le banche, o attraverso la dazione di somme di denaro a soggetti del privato sociale, con l’impegno di destinarli al finanziamento di operazioni di microcredito sia di tipo sociale che d’impresa. A fine 2013, risultavano attivi più di 40 progetti di microcredito, specie di tipo sociale, realizzati da 35 Fondazioni, pari a un impegno complessivo di oltre 17 milioni di euro, che salgono a 100 se si aggiungono gli 84 milioni di euro del “Fondo Microcredito e Finanza” promosso dalla Fondazione Cariplo per i paesi in via di sviluppo. Fatte queste premesse, non poteva mancare da parte della Commissione Acri un approfondimento sulla normativa di settore, completata nei mesi scorsi con la pubblicazione del decreto ministeriale 176/2014, di attuazione dell’art. 111 del Tub. Così, il 25 febbraio, presso la sede dell’Associazione a Roma, la Commissione insieme alla Fondazione Giordano dell’A – mo re ha organizzato un incontro seminariale dal titolo “Le disposizioni ministeriali attuative dell’art. 111 del Tub: limiti e opportunità per gli operatori di microcredito”, che ha fornito un inquadramento generale dell’attuale regolamentazione e ha consentito di metterne a fuoco le implicazioni per chi è operativamente coinvolto sul campo. Insieme al presidente del l’Acri Giuseppe Guzzetti e a Luca Remmert, sono intervenuti: Federico Manzoni, presidente della Fon dazione Giordano Del l’Amore; Concetta Brescia Morra, docente all’Università del Sannio di Bene vento e alla Luiss di Roma; Andrea Limone, amministratore delegato di PerMicro; Lorenzo Mancini, responsabile progetti sociali di Intesa Sanpaolo – Banca Prossima; Francesco Marsico, responsabile dell’area nazionale di Caritas Italiana; Franco Pau, presidente dell’associazione Vobis; Umberto Piron, della Fondazione Cariparo. Dall’incontro, come ha opportunamente sottolineato Manzoni, appare come «la normativa sia non un punto di arrivo, ma di partenza. Credo – ha dichiarato – che dipenderà, poi, dalla nostra capacità di dialogo con le autorità la possibilità di trasformare questo punto di partenza in una vera e propria occasione di crescita per il settore». Ma quali gli elementi di perplessità? Li ha brevemente elencati Remmert, affermando che in un panorama nazionale molto frammentato, sia con riguardo all’individuazione dei soggetti preposti all’erogazione dei microcredito che al numero delle iniziative poste in essere, emergono nuove sfide e nuove valutazioni da fare sia per i piccoli operatori che per quelli più strutturati, che dovranno confrontarsi con i requisiti previsti dai decreti attuativi e valutare l’impatto che gli stessi possono produrre sulla loro attività. In questo ambito si renderà necessaria anche una riflessione riguardo a quelle iniziative che vedono coinvolte le Fondazioni di origine bancaria. «Il modello del microcredito che si è finora affermato presso le Fondazioni – ha spiegato Remmert – è un tavolo a tre gambe, nel quale la prima sono gli enti intermedi come le Caritas, le cooperative, le associazioni, i centri di ascolto, che hanno il fondamentale ruolo di antenne sul territorio e poi di monitoraggio e tutoraggio delle iniziative; la seconda gamba sono le banche, unici soggetti deputati a concedere credito; la terza sono appunto le Fondazioni che finanziano i fondi di garanzia e a volte gli enti intermedi. Limitazioni introdotte dalle nuove norme potrebbero impattare negativamente sull’equilibrio attuale di questo tavolo». Si rende quindi necessario prestare una particolare attenzione a quei fattori – ha elencato Remmert – che caratterizzano le operazioni di microcredito e che potrebbero incidere sulle scelte degli operatori: «La limitazione generata dal decreto ministeriale all’operatività nell’ambito del microcredito da parte delle banche e degli intermediari abilitati in base all’articolo 106 del Tub; l’imposizione di un tetto all’80% della copertura del rischio, con conseguenti restrizioni nei criteri di valutazione dell’utente finale da parte dell’erogatore; l’obbligatorietà di remunerazione per la fornitura dei sevizi ausiliari all’erogazione, con conseguenti incrementi dei costi delle operazioni; la previsione di un livello di remunerazione che certamente non è in grado di compensare gli operatori dei costi che sostengono anche per fornire i servizi ausiliari». Da ultimo occorrerà chiarire l’utilizzo da parte degli operatori di microcredito del fondo di garanzia istituito dal Ministero dello Sviluppo Economico presso Mediocredito Centrale e il rapporto tra la normativa nazionale e quella comunitaria.
Conferme ai dubbi, ma anche rassicurazioni, sono giunte dalla professoressa Brescia Morra, che ha spiegato come la disciplina per il microcredito sia stata costruita in funzione della regolamentazione di un credito che ha delle caratteristiche speciali, come avviene, per esempio, per il credito fondiario o per il credito alle opere pubbliche, con l’obiettivo di favorirne l’utilizzo. «Allora – ha detto – credo che non vi siano dubbi che questa sia un’attività che può continuare ad essere esercitata anche dalle banche, perché sono per loro natura un intermediario universale, quindi possono continuare a esercitare tutte le attività creditizie che non sono riservate per legge ad altri soggetti». Peraltro, ha anche spiegato, poiché quest’attività richiede l’offerta congiunta di servizi ausiliari, per le banche e gli altri intermediari ex art. 106 può essere complicato conciliarla con l’attività ordinaria, sicché potrebbe essere meglio esercitarla in maniera specializzata. «A me sembra – ha dichiarato – che l’elemento essenziale che differenzia il microcredito da un credito normale sia la sostituzione della garanzia reale con forme di assistenza quali i servizi ausiliari; per favorire l’accesso al credito, peraltro, potrebbero essere attenuate alcune rigidità della nuova normativa in punto di contenuti e forma del contratto di microcredito».