«Siamo nate burkinabè e lo resteremo sempre, ma oggi siamo anche un po’ italiane. E napoletane ovviamente, perché mangiamo napoletano, dormiamo napoletano, viviamo napoletano». Sono queste le parole di Emmilienne Ouoba, che insieme ad altre sessanta donne del suo paese due anni fa ha dato vita, nel capoluogo campano, all’“Associazione Donne Burkinabè della Regione Campania”, una rete di solidarietà tutta al femminile. Si tratta di una delle ventisette associazioni di migranti burkinabè distribuite sul territorio italiano coinvolte nel progetto Fondazioni for Africa Burkina Faso, promosso dalle Fondazioni di origine bancaria associate all’Acri per garantire la sicurezza alimentare e il diritto al cibo a 60mila burkinabè nel loro paese (cfr. Fondazioni, maggio-giugno 2014).
Fondazioni for Africa si muove contemporaneamente su due fronti: in Burkina Faso insieme alle ong, in Italia insieme alle associazioni dei migranti. E in questa doppia natura risiede la chiave del successo dell’iniziativa. L’obiettivo è valorizzare il contributo che possono dare i migranti allo sviluppo del loro paese. Questo si può fare mettendo in rete le loro diverse esperienze, rafforzando le loro capacità di gestione delle rispettive associazioni e avviando tavoli di riflessione su obiettivi, priorità, metodologie di intervento in Burkina Faso. Le storie delle associazioni di migranti – che si possono leggere e ascoltare sul sito www.fondazioniforafrica.org – vengono da tutta la nostra Penisola.
C’è Ima Hado, trentacinque anni, che vive a Villasanta, in provincia di Monza e Brianza, dove insieme ad altri connazionali e italiani ha fondato l’associazione “Ital Watinoma”, una parola, questa, che in morè, la lingua più diffusa in Burkina Faso, significa “accoglienza”. Organizzano eventi culturali che fanno conoscere e apprezzare l’arte e la musica del loro paese d’origine, così favoriscono l’integrazione. «La nostra associazione – dice Hado – è un ponte tra Italia e Burkina. Portare la cultura burkinabè in Italia è importante soprattutto per i bambini, per costruire un domani che sarà un domani di integrazione. Un domani di colore».
Fanta Tiemtoré, invece, in Italia ci è arrivata quindici anni fa con suo marito. Oggi ha trentotto anni, lavora a Lecco e ha due figli. Nel 2005 insieme ad altri connazionali ha fondato l’associazione “Mirage Burkina”, che in Italia si occupa di favorire l’inserimento dei migranti e in Burkina ha dato vita a una coltivazione di cento ettari per la produzione sostenibile del riso.
Ci sono poi le cosiddette “2G”, le seconde generazioni: ragazzi e ragazze cresciuti (e a volte nati) nel nostro Paese. Anche loro non vogliono perdere il legame con la cultura, la lingua e le tradizioni della madre patria, ma intendono contaminarsi con lo spirito della terra in cui stanno crescendo. Significativa, come esempio, è la storia di Ousseni Bandaogo, giovane burkinabè che abita a Pordenone. È nato in Burkina Faso ventidue anni fa, vive in Italia da quando ne aveva nove. Migrarono prima i suoi genitori e i suoi fratelli, poi lui, che inizialmente era rimasto nel suo paese a studiare; raggiunse i suoi dopo sei anni. Oggi studia Scienze dell’Architettura a Udine. Nel tempo libero esce con gli amici, qualche volta va a ballare. Gli piace ascoltare musica africana, italiana e internazionale. «È giusto così – dice – questo collage musicale mi rappresenta. Perché io sono un collage». La scorsa estate, dopo undici anni di assenza, Ousseni è tornato in Burkina Faso. «È stato bello tornare nel mio paese dopo tanto tempo. Sono rimasto molto colpito – racconta –. L’ho trovato molto diverso, cambiato». Da grande, Ousseni, non ha dubbi, farà l’architetto. «Se si presenterà l’occasione lo farò in Italia, ma tornare nel mio paese per farlo crescere – dice – è la mia più grande aspirazione». Come architetto in Burkina ritiene ci sarebbe tanto da fare: «Comincerei dalle case, perché sono ancora molto semplici, con un solo piano. Mi piacerebbe costruirne di qualità superiore, con forme architettoniche più interessanti».