L’attuale contesto sociale ed economico sta mettendo sempre più sotto pressione il welfare italiano. Alle già note difficoltà di un sistema che nell’ultimo ventennio non è riuscito ad adattarsi appieno ai mutamenti del Paese, si sono sommate le pressioni derivanti dalla crisi internazionale e dai suoi effetti sul mercato del lavoro. Oltre alle più tradizionali cause di disagio, difficoltà e isolamento, oggi è dunque necessario confrontarsi con nuove forme di vulnerabilità sociale e di povertà causate dalla crisi. Sul fronte del welfare, oltre allo stato, in Italia operano molte e diverse reti di solidarietà (organizzate o informali, pubbliche, private o del terzo settore) che, per far meglio fronte a tutte le nuove e vecchie esigenze, potrebbero essere valorizzate nel quadro di un nuovo modello di welfare, nazionale e locale, senza nulla togliere al peso insostituibile del ruolo pubblico, che deve continuare a rispondere all’insieme dei problemi. Le Fondazioni di origine bancaria sono ben consapevoli degli sforzi che, a ogni livello, sono già avviati per riformare il welfare italiano, e intendono esse stesse impegnarsi nella ricerca e attuazione di modalità di intervento innovative ed efficaci. Così nel giugno 2012, a Palermo, in occasione del 22° Congresso Nazionale organizzato dall’Acri, hanno formalmente deciso di “adoperarsi, affinché si sviluppino forme innovative nel campo dell’assistenza sociale che, facendo leva sul principio di sussidiarietà, promuovano la formazione di un welfare di comunità”. Ovvero un welfare basato su una pluralità di soggetti, ma anche di soluzioni, in cui sostenibilità, equità, accesso e responsabilità si articolino in formati nuovi e trovino un baricentro essenziale nel territorio e nella comunità, comunque definita. A questa scelta congressuale, suffragata da un crescente impegno erogativo delle Fondazioni nei settori propri del welfare (circa 300 milioni di euro per Assistenza sociale, Salute pubblica e Volontariato nel solo 2012), ha fatto seguito la costituzione in ambito Acri di un Gruppo di Lavoro deputato a identificare le possibili linee di comportamento e di azione delle Fondazioni per promuovere un welfare di comunità. Il frutto del lavoro di questo gruppo, guidato dal vicepresidente dell’Acri e presidente della Fon – dazione Cassa di Risparmio di Ascoli Piceno Vincenzo Marini Marini, è stato presentato in occasione dell’Assemblea annuale dell’Associazione il 7 maggio scorso, riscuotendo l’approvazione dei partecipanti. Tre gli obiettivi che il Gruppo di Lavoro si era proposto. Innanzitutto, costituire la base per una prima interpretazione condivisa (tra le Fondazioni di origine bancaria) dei problemi con cui il sistema di welfare italiano si confronta attualmente, delle loro cause e delle azioni che possono essere intraprese per riformare il sistema. In secondo luogo, aiutare la riflessione sul contributo che le Fondazioni stesse possono portare al processo di rinnovamento del welfare italiano nella sua componente legata alle comunità locali, consapevoli delle profonde diversità che caratterizzano l’Italia, di cui lo squilibrio Nord-Sud rappresenta l’esempio più evidente. Infine, indicare alcuni schemi attuativi, diversamente articolati in funzione delle finalità strategiche degli interventi, che potrebbero essere seguiti dalle Fondazioni – a livello locale, ma con qualche meccanismo di coordinamento – nell’avvio di sperimentazioni da sostenere e intraprendere, che il Gruppo di Lavoro osserverà da vicino per trarne ulteriori elementi di riflessione e di progresso. In funzione di questi tre obiettivi, dall’impegno del Gruppo di Lavoro è derivato un documento articolato in tre parti. La prima – Analisi del contesto – descrive l’ambito di riferimento del sistema di welfare in Italia. Un sistema in cui, fra l’altro, la scelta di assegnare una parte rilevante delle prestazioni pubbliche sotto forma di trasferimenti monetari alle persone e alle famiglie – generalmente erogati dall’Inps senza alcun coordinamento con i Comuni, che sono gli erogatori di servizi reali – ha assicurato elevati gradi di flessibilità, ma al contempo ha posto in capo ai beneficiari la scelta di come destinare le risorse ricevute, rendendo complicata, se non impossibile, ogni valutazione di efficacia di prestazioni alternative e con la conseguenza di non aumentare l’autonomia degli utenti, bensì spesso di incentivarne la tendenza a dichiarare condizioni di maggior bisogno per ricevere trasferimenti più elevati (come mostrano i frequenti casi di abuso). Inoltre, il sistema di welfare risulta fortemente sbilanciato a favore di interventi di protezione sociale a tutela dei lavoratori con forme occupazionali più stabili, trascurando quelli con impiego precario e coloro che non riescono ad accedere al mercato del lavoro, sottodimensionando le risorse rivolte più propriamente e direttamente ai servizi di tutela e assistenza delle persone. Per modificare questo scenario il documento Acri indica tre priorità cui ispirare gli interventi nell’area socio-assistenziale: individuare modelli capaci di perseguire obiettivi sia di efficacia che di efficienza; implementare interventi che sviluppino o potenzino le risorse umane e professionali, nonché le reti presenti sui territori; promuovere sistemi di “governo comunitario” e di erogazione dei servizi in grado di integrare in modo virtuoso, in una logica di sussidiarietà, le risorse pubbliche e quelle private disponibili. «L’obiettivo è sviluppare le capacità e l’autonomia delle persone, delle comunità e della società nel suo insieme. Ciò affinché si possa soddisfare i bisogni sociali in maniera al contempo universalistica e selettiva nell’ambito di un più ricco e articolato panorama di risposte a cui, in aggiunta allo stato e agli enti locali, partecipino tutti i soggetti: dal non profit ai cittadini, dalle fondazioni di erogazione al welfare aziendale – ha dichiarato Giuseppe Guzzetti, presidente dell’Acri –. Questo nuovo welfare potrà da un lato contribuire ad evitare sprechi, duplicazioni e assenza di responsabilizzazione, dall’altro favorire la crescita del sistema economico e sociale, generando opportunità di lavoro».
Almeno a livello locale, la creazioni di reti collaborative miste è talvolta la premessa, talaltra l’approdo, ma è sempre una dimensione cruciale delle iniziative più riuscite anche in termini di erogazione di servizi. Infine, su questo punto, ed entro i limiti di una finanza pubblica che ha ben pochi margini di manovra, sarebbero auspicabili incentivi fiscali chiari e duraturi sia per le sperimentazioni, sia per i sistemi a regime in cui vengono investite risorse private.
La seconda parte del documento – il ruolo delle Fondazioni di origine bancaria – propone per le Associate un compito peculiare, nell’ambito del terzo settore e nel rispetto del ruolo delle istituzioni locali preposte, caratterizzato da una ricerca proattiva dell’innovazione, dalla costante attenzione a verificare l’efficacia e l’efficienza degli interventi, dalla promozione del coordinamento tra i diversi soggetti per favorire la costruzione di “reti sociali”. Riguardo all’innovazione, le Fondazioni possono promuovere sperimentazioni pilota di modelli di intervento, per valutarne l’efficacia nella soluzione dei problemi; sostenere l’ingegnerizzazione di soluzioni organizzative promettenti da portare a regime e la diffusione di modelli efficaci, specialmente per ridurre la frammentazione dell’offerta e favorire il buon funzionamento di reti multi-attore; contribuire a diffondere una cultura del monitoraggio e della valutazione comparativa dell’efficacia, dei costi e dei benefici delle politiche e degli interventi di welfare, rendendo possibili processi seri e fondati di documentazione e di valutazione dei risultati e degli impatti delle sperimentazioni. Possono, inoltre, collaborare con le pubbliche amministrazioni, in particolare locali, assieme al resto del terzo settore, per imboccare strade di messa in efficienza delle loro organizzazioni e dei loro processi, nonché avviare sperimentazioni di co-programmazione degli interventi.
Riguardo alla sostenibilità economica dei servizi sociali, il documento Acri evidenzia che si tratta di un obiettivo perseguibile solo in alcuni ambiti di intervento, in particolare quelli in cui: i beneficiari dei servizi, o le loro famiglie, hanno la possibilità di sostenere una parte dei costi del servizio stesso e hanno interesse a farlo perché l’erogazione del servizio può generare miglioramenti dello stato dei beneficiari e risparmi nel medio periodo, svolgendo una funzione di prevenzione dell’aggravamento dei bisogni; oppure se esistono opportunità di contenimento dei costi dei servizi, ad esempio attraverso il coinvolgimento operativo di realtà del volontariato come accade, un esempio per tutti, nell’assistenza domiciliare agli anziani e ai disabili. Per gli ambiti in cui i beneficiari dei servizi appartengono alle categorie più fragili e sono privi di una solida rete famigliare alle spalle è pressoché impossibile ipotizzare obiettivi di sostenibilità: per essi non sembrano esservi alternative alla presa in carico da parte della pubblica amministrazione ai vari livelli (ad esempio: servizi per l’infanzia, come quelli dell’affido famigliare, o iniziative per la grave non autosufficienza).
Nella terza parte – Approccio al welfare di comunità: le fasi di un processo – il documento elaborato dal Gruppo di Lavoro Acri individua le fasi procedurali che caratterizzano gli orientamenti strategici verso l’innovazione e verso l’estensione del servizio, proponendosi come un vero e proprio manuale di procedure. In questa parte il documento offre un metodo operativo imperniato su partnership che prevedano forme adeguate di condivisione delle finalità, l’allineamento della conoscenza delle informazioni e l’individuazione di obiettivi comuni, pur con la debita differenziazione dei ruoli. Insomma, le Fondazioni di origine bancaria si prefiggono di accrescere l’efficacia delle politiche e degli interventi volti ad affrontare alcuni dei vari problemi specifici del welfare, orientandosi verso una sperimentazione controllata delle innovazioni nelle politiche sociali. Anziché favorire la fornitura del servizio a un numero ridotto di soggetti, esse preferiscono comprendere meglio quali interventi siano più efficaci, per poi contribuire a diffonderne la conoscenza e l’adozione da parte dei soggetti (in primo luogo quelli pubblici) che dispongono di risorse più cospicue, previa analisi delle condizioni di sostenibilità economica delle iniziative ai fini della loro replicabilità. Anche, e soprattutto, nella convinzione che la risposta alla crisi del nostro welfare non potrà che essere collettiva e societaria, e quindi più propriamente di natura “politica”. Domanda e offerta di protezione sociale dovranno essere ripensate, molte incrostazioni dovranno essere rimosse a favore di nuovi e più flessibili strumenti; saranno necessarie una maggiore responsabilità degli operatori e degli utenti dei servizi, nonché l’attento governo e il rigoroso controllo dei processi. Persone e famiglie (intese come utenti, consumatori e contribuenti), stato e amministrazioni locali, società civile organizzata, mercato e imprese: tutti dovranno sentirsi coinvolti nella necessaria trasformazione.