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Aree urbane: la competitività si gioca sul capitale umano

Comprendere la realtà delle proprie aree di riferimento è per le Fondazioni di origine bancaria la premessa indispensabile per definire qualsiasi piano di intervento funzionale alla crescita sociale ed economica. Fra i vari strumenti a disposizione, un efficace supporto informativo è il “Rapporto Competitività delle Aree Urbane Italiane”, giunto alla sua quarta edizione, realizzato da Sinloc (società partecipata da dieci Fondazioni di origine bancaria e da Cdp Spa) in collaborazione con l’Istituto Tagliacarne, l’Istituto Superiore sui Sistemi Territoriali per l’Innovazione (SiTI) e la Fondazione Ismu. Il Rapporto è stato realizzato grazie al contributo di undici Fondazioni di origine bancaria e della Bei – Banca Europea per gli Investimenti, con l’obiettivo di raccogliere elementi di conoscenza utili a indirizzare in maniera produttiva le risorse da investire sui territori da parte di soggetti istituzionali pubblici e privati. L’ ultima edizione del Rapporto, presentata nel febbraio scorso, fotografa un’Italia indebolita in cui si accentuano le tradizionali differenze tra le macro aree settentrionali e quelle meridionali del Paese. «Quasi dappertutto, però, – sottolinea Antonio Rigon, amministratore delegato di Sinloc – la dimensione demografica rappresenta una criticità. Aumenta il fenomeno dell’invecchiamento della popolazione; cresce l’emigrazione giovanile e intellettuale, con un inevitabile depauperamento del capitale umano locale; si fa sentire sempre più il disagio abitativo».

In Italia la crescita demografica è sostanzialmente garantita dalla sola componente straniera, la quale tuttavia ha iniziato a evidenziare saldi negativi in alcune aree del territorio, per di più in importanti realtà del Sud (Napoli), ma anche del Nord (Genova). Inoltre, in molte aree del Sud, e nelle aree di maggior declino relativo del Nord, il ridotto sostegno agli equilibri demografici da parte della popolazione straniera è un contributo fortemente volatile e quindi non funzionale a un miglioramento di medio termine del tessuto demografico-sociale ed economico. Emerge quindi la necessità di interventi che promuovano una immigrazione “famigliare” più stabile e socialmente integrata. Si confermano, dunque, e si accentuano i segnali d’allarme per il carico economico che, a causa dell’invecchiamento della popolazione, la fascia di persone in età lavorativa deve, e ancor più dovrà, affrontare.

Come emerso nelle passate edizioni del Rapporto le aree solidamente più competitive del Nord si confermano quelle orientali, mentre caso a sé sono le grandi realtà urbane di Milano e Roma. Nelle aree più occidentali del settentrione, le province liguri e quelle di confine tra Lombardia e Piemonte evidenziano limiti importanti di competitività che, su alcune dimensioni, coinvolgono anche l’area di Torino. «Non è smentita invece – dichiara Rigon – la complessiva tenuta e il relativo dinamismo di aree territoriali di media dimensione caratterizzate da una popolazione residente tra i 300 e gli 800 mila abitanti, localizzati soprattutto, ma non solo, nel Nord- Est. In una proiezione al 2030, oltre alle grandi potenzialità di Bergamo e Brescia, segnaliamo le province di Modena, Rimini, Forlì, Ancona, Pesaro, Prato, Arezzo, solo per fare qualche esempio. Per queste aree sembra confermarsi l’ipotesi che si siano attivati processi virtuosi e più equilibrati che consentono di beneficiare delle economie di scala garantite da aree urbane già di un certo peso, senza per questo cadere nelle tipiche difficoltà delle aree più densamente popolate e congestionate». Le province in panne si trovano, invece, soprattutto nelle isole. È il caso di Catania, Agrigento, Siracusa, Cagliari e Sassari. Vacillano anche parti della Calabria, della Campania e della Puglia: Brindisi, Lecce, Taranto, Crotone, Salerno. Al Nord, come si è detto, piemontesi e liguri, da Novara a Savona, potrebbero dover rivedere al ribasso gli standard di vita. Nelle aree che resistono meglio alla crisi si evidenzia: una maggiore tenuta demografica, sostenuta da flussi migratori in rallentamento ma ancora significativi e caratterizzati da una forte componente famigliare; una buona capacità di attrarre capitale umano e intellettuale da altre parti del Paese, anche grazie alla combinazione tra un tessuto di imprese più orientato al mercato estero e un sistema formativo universitario ancora attrattivo; un accesso alla casa, in affitto o in proprietà, deterioratosi, ma ancora relativamente buono rispetto sia alle realtà economicamente deboli, dove disoccupazione e caduta dei redditi ha sopravanzato la discesa dei costi dell’abitazione, sia alle realtà economicamente più forti delle due maggiori polarità urbane, Milano e Roma, dove alla minore caduta dei redditi e dell’occupazione ha fatto da contraltare negativo una dinamica dei costi dell’abitare ancora in crescita o comunque rigida.

Questa edizione del Rapporto sembra, perciò, confermare la necessità di interventi strutturati e organici a sostegno delle famiglie, sia per avviare un processo di superamento delle criticità sempre più diffuse sotto il profilo sociale e demografico, sia per ridare margini a un reddito disponibile reale sempre più compresso che rischia di vincolare, non solo le scelte di composizione famigliare, ma anche quelle di scolarizzazione delle nuove generazioni. «Politiche di intervento nelle città quali l’housing sociale – conclude Rigon – rimangono importanti e necessarie, soprattutto nei grandi centri urbani e nelle aree metropolitane attorno a Bologna e Padova – Venezia. Tuttavia, l’appesantimento del quadro sociale, demografico e occupazionale spingono a riflettere anche su interventi di più ampio respiro, orientati al contenimento dei costi economici e organizzativi della crescita dei figli e del loro sviluppo educativo».

da “Fondazioni” maggio-giugno 2014