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Rinasce l’Abbazia di San Clemente

«Quello che vediamo qui oggi è un autentico miracolo, che dà fiducia e certezza che la forza e la serietà degli abruzzesi consentirà di restituire una città come L’Aquila, e tutto l’Abruzzo colpito dal terremoto, all’antico splendore: a quella bellezza che è un patrimonio per l’intero Paese». Con queste parole, di apprezzamento e di fiducia nel futuro, il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, Gianni Letta, ha concluso la cerimonia di riapertura al pubblico, l’8 aprile scorso, del primo monumento interamente restaurato tra i tanti danneggiati dal sisma del 6 aprile 2009. Si tratta dell’Abbazia di San Clemente a Casauria: uno splendido complesso cistercense del XII secolo, posto nel comune di Castiglione a Casauria (provincia di Pescara) a soli 176 chilometri da Roma. Un’opera emblematica della specificità artistica abruzzese, che era stata profondamente lesionata dal terremoto, ma che è tornata a nuova vita in appena due anni, grazie alla Fondazione Pescarabruzzo e al World Monuments Fund, finanziatori del recupero con un intervento complessivo di 1 milione e 400mila euro. L’Abruzzo è ricco di un notevole, anche se poco noto, patrimonio artistico e l’Abbazia di San Clemente a Casauria ne emerge per arte e per storia. Edificata nell’871 per volere dell’imperatore Ludovico II, pronipote di Carlo Magno, su quella che allora era un’isoletta fra due bracci del fiume Pescara, in una posizione strategica di confine tra il ducato di Benevento e quello di Spoleto, cadde successivamente in rovina e di quella prima struttura ora resta solo la cripta. Nel 1176, infatti, l’abate Leonate ne decise una profonda ristrutturazione e intorno all’antico cenobio benedettino raccolse i migliori artisti dell’epoca, che realizzarono la chiesa così come la vediamo oggi, nonostante le alterne vicende che ne hanno punteggiato la storia. Maestranze locali, campane e francesi diedero avvio a una vera e propria “scuola casauriense”, capace di creare motivi nuovi e originali rispetto a quella scuola borgognone che pure l’aveva originata. La pietra ricavata dai prospicienti monti di Pescosansonesco aveva dato corpo alle poderose strutture architettoniche, agli artistici capitelli, alle cornici e ai fregi collocati sulla facciata, nel portico, nella colonna del cero pasquale, nell’ambone, nel ciborio dell’altare di San Clemente, che trovarono poi eco in altri monumenti della regione, quali la cattedrale Valvense, Sant’Angelo di Pianella, San Pietro ad Oratorium, San Nicola di Pescosansonesco, San Pietro in Albe. La Fondazione di origine bancaria abruzzese, presieduta da Nicola Mattoscio, e la più grande organizzazione privata dedita alla salvaguardia di monumenti eccezionali nel mondo, il World Monuments Fund, la cui sezione europea è presieduta da Bertrand du Vignaud, hanno dunque riconsegnato alla collettività non solo un monumento molto bello di proprietà dello Stato, ma uno dei complessi cistercensi più importanti in Italia: una testimonianza peculiare dell’arte italiana nel basso medioevo. Il terremoto del 6 aprile 2009 aveva danneggiato il timpano della navata centrale, che crollando in parte all’interno aveva prodotto lesioni sull’ambone e sul cero pasquale, le colonne cruciformi che separano la navata centrale da quella laterale sinistra, le pareti esterne dell’ala sinistra del transetto ed anche gli archi di separazione con le navate laterali. La facciata con il portico antistante, già strapiombata all’epoca del drammatico terremoto di Avezzano del 1915, non ha invece patito ulteriori danni con il sisma di due anni fa, grazie all’imponente sistema di trattenimento messo in opera negli anni 20 con il restauro di Ignazio Carlo Gavini. I restauri realizzati oggi sono anch’essi considerati di eccezionale livello e hanno utilizzato lo stesso linguaggio della costruzione originaria, in modo da non introdurre discontinuità nella risposta strutturale. Le parti crollate sono state ricostruite in muratura, riutilizzando ove possibile le stesse pietre recuperate dalle macerie secondo il dettato della regola dell’arte, le lesioni risarcite mediante la tecnica tradizionale del cuci-scuci, i conci fratturati sostituiti con nuovi conci della stessa pietra, le parti interessate da lesioni diffuse ricostituite attraverso iniezioni con miscele di malta di calce idraulica naturale. Le opere strutturali di miglioramento sismico sono state progettate ed eseguite in modo da garantire un grado di sicurezza adeguato al terremoto di progetto senza peraltro alterare il comportamento strutturale d’insieme della chiesa: i diversi meccanismi locali attivati dal sisma sono stati contrastati da catene di acciaio inox munite di bolzoni metallici a vista o incassati nei conci lapidei. L’aula della navata, in particolare, è stata munita di barre in acciaio inox realizzate in perforazione per ripristinare la continuità delle strutture murarie e impedire il formarsi di meccanismi di collasso fuori dal piano. Infine, sono state impiegate tecniche di indagine in situ per verificare la ricostituita integrità degli elementi strutturali, sperimentazioni in laboratorio unite a simulazioni numeriche, per verificare l’efficacia strutturale delle opere eseguite, e un’accurata selezione delle tecnologie e dei materiali per garantire la durabilità degli interventi messi in opera. «Restaurare, restituire, ristabilire. E’ stato questo l’obiettivo che ci siamo posti e che abbiamo voluto perseguire nella realizzazione di questo intervento, frutto di una partnership ideale con un prestigioso organismo internazionale come il World Monuments Fund e di un impegno della Fondazione Pescarabruzzo non solo economico, ma anche progettuale e organizzativo. E’ stato proprio grazie a questo coinvolgimento totale degli organi della Fondazione e di tutti quanti hanno lavorato alla ricostruzione che siamo riusciti a riconsegnare tempestivamente, e bene, questo tesoro alla sua collettività e al Paese, consci del suo grande valore artistico, prezioso non solo per l’Italia» ha detto Nicola Mattoscio, in occasione della cerimonia dell’8 aprile. Alla manifestazione, insieme a numerosi partecipanti in rappresentanza del territorio, sono intervenuti in qualità di relatori: il vicecommissario delegato per la tutela dei Beni culturali Luciano Marchetti, il sottosegretario al Ministero dei Beni culturali Francesco M. Giro, il presidente della Regione Abruzzo Gianni Chiodi, il vescovo di Pescara mons. Tommaso Valentinetti, il sindaco di Castiglione a Casauria Gianmarco A. Marsili, che ha conferito la cittadinanza onoraria a Mattoscio e a du Vignaud.

 

Il gioiello dell’arte casauriense

 L’Abbazia di San Clemente a Casauria si apre al visitatore con un ampio portico, costituito da tre archi: i laterali a sesto acuto poco pronunciato, decorati con il motivo a bastone spezzato, e un arco centrale, a tutto sesto, che presenta i dodici Apostoli allineati in due gruppi sui capitelli che sostengono l’archivolto. Le bifore, asimmetriche e di diversa  fattura, sono costituite da preziosi pezzi scolpiti. Il tutto ha un colore giallino, dovuto alla patina che il tempo ha depositato sul materiale di costruzione  prevalente, che è la pietra gentile del territorio di Pescosansonesco. Superato il portico ci si trova davanti ai tre portali. Nei laterali appaiono rispettivamente San Michele Arcangelo e la Vergine in trono con il  Bambino, mentre il portale maggiore ha struttura più complessa. Rastremato verso l’interno e sormontato da archi a ferro di cavallo è fortemente caratterizzato  dal massiccio architrave che illustra in quattro momenti la leggenda della  fondazione dell’Abbazia.  Le porte di bronzo furono fatte collocare nel 1191. In diverse delle settantadue formelle sono raffigurati i castelli e le torri merlate su cui l’Abbazia di Casauria estendeva i suoi domini. Le quattro formelle agli angoli sono ornate da un rosone ad altorilievo, altre, tra i tanti motivi decorativi, rappresentano la croce di Malta e la mezzaluna turca. Lo spazio definito dalle strutture murarie, pur se alleggerito dalle slanciate arcate a sesto acuto, si mantiene austero, ma decisamente ingentilito da elementi puntuali come il cero pasquale, l’ambone, il ciborio, che si staglia entro il catino absidale, e l’altare, verso il quale sono canalizzati gli sguardi. Il cero pasquale mostra i motivi vegetali propri dell’arte casauriense: è a due piani ed è costituito da due lanternoni esagonali, separati da un motivo vegetale. Le sei colonne tortili, un tempo presenti su entrambe le lanterne, rappresentavano i dodici Apostoli che circondavano la luce del Cristo Risorto. Di maggior interesse storico e artistico è l’ambone. Posto di fronte al cero, fra il terzo e il quarto pilastro alla metà destra della navata centrale, poggia su colonne con capitelli ornati di palme.  Guardando con attenzione si può notare che girando attorno al pulpito in senso antiorario i capitelli rappresentano foglie di palma che si aprono sempre di più e simboleggiano l’animo del cristiano che si apre ascoltando la parola del predicatore. Nel lato rivolto verso l’ingresso ci sono tre grandi fiori ad altissimo rilievo, in cui il rosone centrale mostra di essere giunto al più alto grado decorativo. 


da “Fondazioni” maggio-giugno 2011