La medicina fa continui progressi, ma a volte ci si deve confrontare con l’impossibilità della guarigione dalla malattia, la cui diretta conseguenza è spesso la morte. Nel buio di questo verdetto, però, la scienza può ancora dare un aiuto: sollevare il paziente dal dolore con le cure palliative, il cui scopo è offrire a lui e alla sua famiglia la miglior qualità di vita possibile. Un contesto fra i migliori dove questo obiettivo è realizzabile con efficacia è l’hospice: una struttura residenziale dove il malato inguaribile e la sua famiglia trovano aiuto e sollievo, anche psicologici, fino agli ultimi giorni di vita. I famigliari possono visitare i loro cari quando vogliono, le camere sono dotate di letti per farli dormire, quando necessario, all’interno della struttura e l’arredo è curato in modo da essere caldo e accogliente, con grande attenzione alla luminosità degli ambienti e alla presenza di verde. La filosofia dell’hospice, che nel nome si richiama alle “Case di Ospitalità” che nel Medioevo accoglievano i malati lungo le grandi vie di pellegrinaggio, è infatti quella di creare e diffondere una cultura e un’educazione nei confronti della malattia e del migliore approccio ad essa che aiutino i pazienti e i loro famigliari, in questi casi spesso soli e scarsamente informati, a gestirla al meglio non solo da un punto di vista sanitario, ma psicologico ed emotivo. In Italia un importante impulso alla nascita degli hospice fu dato dal Piano Sanitario Nazionale 1998- 2000, che prese avvio con la legge n. 39/1999. Tra le indicazioni principali del Programma vi era la “realizzazione dei centri residenziali” (hospice), con dotazione di una “rete di assistenza ai malati terminali”, articolata in diversi livelli assistenziali integrati: domiciliare, ambulatoriale, ospedaliera, in hospice. Il compito di definire “programmi e protocolli operativi, nonché la comunicazione per la popolazione”, veniva affidato alle Regioni, altresì dotate complessivamente di 132,5 milioni di euro. L’applicazione della legge ha consentito di passare dai primi 5 hospice attivi nel 1999, ai 165 del 2009, con un indice di accoglienza tuttavia ancora di 0,31 posti letto ogni 10mila residenti, contro una soglia ritenuta ottimale di 0,60. Secondo le ultime stime a livello nazionale, sussistono diversità notevoli da regione a regione: Basilicata e Lombardia si collocano ben oltre la suddetta soglia, mentre Campania, Calabria e Abruzzo restano sensibilmente al di sotto, mentre il Piemonte, con i suoi 13 hospice, offre 142 posti letto, che corrispondono a 0,32 ogni 10mila abitanti (fonti: Hospice in Italia, Prima e Seconda Rilevazione Ufficiale, a cura di Furio Zucco, e Rilevazione SICP – Società Italiana di Cure Palliative). In questi anni varie Fondazioni di origine bancaria hanno dato il loro sostegno allo sviluppo di queste strutture, in particolare la Com – pagnia di San Paolo, che ha contribuito alla creazione presso i locali del Presidio Ospedaliero San Vito di Torino di due hospice: uno nato nel 2001, intitolato a Sergio Sugliano, l’altro nel 2012, dedicato a Ida Bocca, rispettivamente con sede al terzo e al secondo piano dell’ospedale. In totale offrono 34 posti a titolo completamente gratuito (in quanto le strutture sono convenzionate con la Regione Piemonte e l’Asl di riferimento) per pazienti in fase avanzata di malattie oncologiche, epatiche e neurologiche. Entrambi gli hospice sono stati realizzati a partire da un protocollo d’intesa sottoscritto nel 1999 dal l’Azienda Ospedaliero-Universitaria San Giovanni Battista di Torino, dalla Fondazione Faro-Assistenza Ricerca Oncologica Piemonte e dalla Compagnia di San Paolo. L’Azienda Ospedaliero-Universitaria San Giovanni Battista ha concesso alla Fondazione Faro, in comodato ventennale, parte degli spazi del Presidio Ospedaliero San Vito e ha gestito i lavori di ristrutturazione. La Fondazione Faro, che nel capoluogo e in altri comuni della cintura torinese da anni svolge attività di assistenza domiciliare gratuita ai malati in fase avanzata della malattia, ha seguito la formazione del personale medico e infermieristico, ha curato l’allestimento e l’arredo dei due hospice e ne ha la responsabilità gestionale. La Compagnia di San Paolo, che nel campo della domiciliarità sostiene da tempo le attività di Faro e di altre realtà che operano con analoghi fini, per la ristrutturazione dei locali e il loro allestimento ha erogato 1,3 milioni di euro per il primo hospice e 3,2 per il secondo. Paola Assom, dell’Area Politiche Sociali della Compagnia di San Paolo, ha approfondito questi temi ed ha raccolto per noi alcune commoventi testimonianze, registrandole nell’articolo che segue.
«Qui si muore, ma finché non si è morti si è ancora vivi…»
Girandole di fuochi d’artificio si stagliano sull’inconfondibile profilo di Torino: con questa immagine sfavillante si apre il notiziario delle attività di intrattenimento per il mese di giugno 2012 degli Hospice F.A.R.O.: pomeriggi musicali, spettacoli di magia, la messa e naturalmente, dato che siamo nel mese di San Giovanni, la festa patronale. L’Ospe dale San Vito, una solida palazzina liberty dove al secondo e al terzo piano hanno sede gli hospice, è in una posizione che più ariosa e meglio panoramica non si potrebbe e gode della magnifica vista della città adagiata ai piedi della collina, con in basso il fiume Po, che si snoda lento. Antonella Milo, caposala del terzo piano, parla degli spettacoli già realizzati e ne mostra le foto, mentre il vai e vieni dei volontari intenti a preparare il prossimo concerto dà una sensazione di festoso doposcuola. Pare che nessuno si curi del fatto che «Qui si muore, ma finché non si è morti si è ancora vivi… », come osserva Antonella, e la sua frase non è affatto lapalissiana. È la semplice, concisa ed efficace sintesi della funzione dell’hospice e della missione delle persone che ci lavorano: accettare la morte, pur nel dolore, come parte naturale della vita, ma dare piena dignità alle persone fino alla fine, anche nella malattia. Tendine ai vetri, pittura color pastello alle pareti, arredamento funzionale ma curato, oserei dire amorevole: tutto, nei due hospice, deve contribuire affinché le persone, che qui sono considerate non pazienti ma ospiti, si sentano in un ambiente domestico, che li aiuti a farli sentire come a casa, amati e capaci di ricambiare amore. «Oltre all’estetica curata – spiega Gloria Gallo, responsabile sanitario con una lunga esperienza alle spalle – quello che è fondamentale nell’hospice sono le cure palliative. In altri paesi europei queste terapie sono oggetto di corsi universitari specifici, mentre in Italia sono ancora un po’ la cenerentola della medicina; eppure sono fondamentali per i casi che trattiamo qui». «Le terapie palliative – prosegue la dottoressa Gallo – non curano le cause della malattia, che in queste malattie non sono più trattabili, bensì i sintomi, in modo da alleviare il dolore delle persone e dare loro una qualità di vita ancora accettabile, senza affrettare ma nemmeno posporre la morte». Parole dette con una tale semplicità e modestia da infondere una serenità quasi d’altri tempi, in questa nostra cultura dominata dall’ansia del tempo che passa e dal rifiuto, quasi dall’orrore, della morte. «E invece – continua – occorre capire che il morire è un processo naturale; so che è difficile accettarlo e se è pur vero che le attività che organizziamo all’hospice hanno lo scopo di rendere il più possibile attiva la vita delle persone, tuttavia integriamo nella cura anche assistenza psicologica e spirituale, per aiutare sia l’ammalato sia le famiglie durante la malattia e queste ultime anche dopo, durante il lutto». «Un aiuto così intenso – aggiunge Raffaella Oria, caposala del secondo piano – che talvolta ha favorito il ricongiungimento di famiglie separate da anni: in questo luogo ritenuto di morte sono invece nate a nuova vita relazioni e rapporti spenti da tempo». È successo così a Francesco, sessantacinque anni: la voce che gli è rimasta è appena un filo, ma mentre racconta ha ancora il vigore dell’uomo che è stato, dal passato burrascoso e dal talento artistico esuberante. Un talento che si esprime ancora e anche qui, in questa camera di degenza, trasformata in un atelièr e tappezzata dei suoi ultimi dipinti a olio. Accanto a lui la moglie, un tempo sua modella: «Dopo venticinque anni di separazione – racconta Francesco – adesso è tornata da me. Un tempo sono stato anche imprenditore e oggi è lei che mi guida a stilare un bilancio della mia vita». Forza Francesco, questa è certamente l’opera che non ti aspettavi ancora di dover fare, la più difficile e dolorosa, ma non sei rimasto solo.