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Nave Italia, la solidarietà ha preso il largo

«La linea dell’orizzonte è sfrangiata da cielo, pioggia e mare mischiati insieme. Il brigantino è in banchina, a La Spezia, perché fuori l’onda cresce fino a tre metri. Le vele ripiegate. Ma non importa troppo: anche l’attesa è passaggio importante per crescere. Per ricostruirsi. Per imparare a sanare gli errori commessi. E se questi uomini hanno spesso maschere e modi da duri senza cuore, pian piano su questa barca e in questi giorni i travestimenti svaniscono». Così Fabio Gallo che, come responsabile, ha accompagnato a bordo di Nave Italia, per cinque giorni, i ragazzi della “Comunità Papa Giovanni XXIII” di Fossano (Cn), che si dedica al sostegno dei carcerati. È uno dei tanti gruppi di giovani e adolescenti resi fragili dal disagio famigliare o sociale, ma anche di anziani o portatori di disabilità psicofisiche, che hanno avuto modo di partecipare a un progetto, supportato da 33 Fondazioni di origine bancaria, che utilizza la navigazione a vela per educare i meno fortunati a tirar fuori il meglio da se stessi e dagli altri. L’iniziativa, realizzata dalla Fondazione Tender to Nave Italia, che è nata da un’alleanza tra la Marina Militare e lo Yacht Club Italiano, in questi ultimi quattro anni ha portato a sperimentare il mare oltre 4mila persone, accolte sul brigantino a vela più grande al mondo. Nave Italia: sessantuno metri di legni, ottone e buona tecnologia, guidati da un equipaggio della Marina Militare. Il 5 giugno scorso i risultati di questa collaborazione tra le Fondazioni di origine bancaria e Tender to Nave Italia (TTNI) sono stati presentati in un incontro a Roma, a cui hanno partecipato l’ammiraglio Giuseppe De Giorgi, Capo di Stato Maggiore della Marina Militare, il presidente dell’Acri Giuseppe Guzzetti, il presidente della Fondazione TTNI Roberto Sestini e Carlo Croce, consigliere esecutivo della Fondazione TTNI. L’incontro è stato coordinato dal direttore scientifico di quest’ultima, Paolo Cornaglia Ferraris, che ha stimolato le testimonianze di alcuni dei ragazzi presenti, che hanno vissuto quest’esperienza. Alcune testimonianze le ha registrate per noi in diretta Fabio Gallo proprio mentre una ventina dei suoi ragazzi della Comunità Papa Giovanni le stava vivendo sul brigantino, con gli operatori e il cappellano del carcere di Frosinone, don Guido. «Le mie sensazioni sono un po’ strane – dice Marco –. Io sono una persona un pochino chiusa e faccio fatica a espormi troppo con gli altri, però in questa occasione mi sto un po’ aprendo ». Poi socchiude gli occhi, in coperta, guardando il porto: «Forse sto togliendo un po’ di rabbia che avevo in me per le mie caz… fatte». «All’inizio di questa esperienza ero timoroso – spiega invece Franco – perché non conoscevo le persone e per l’incognita della vita su una nave… Stare su una nave, con i suoi spazi limitati, mi ha consentito di mettermi in gioco e non imboscarmi». È impossibile, infatti, su un’imbarcazione. Tutti sono coinvolti in tutte le attività, dalle pulizie agli impegni marinari come issare e ammainare le vele, salire in testa d’albero, imparare a fare e sciogliere i nodi. E poi ci sono momenti di confronto e di animazione. «Trovo pesante il fatto di avere l’intera giornata programmata senza avere il tempo di stare solo a pensare alle mie cose», si lamentava il primo giorno Carlo. Ed Enrico aggiungeva: «Con il passare delle ore ho deciso che non potevo lasciarmi scoraggiare dal mal tempo che ci teneva fermi nel porto e mi sono detto che dovevo approfittare di questa occasione per stare insieme alle persone che condividono questa esperienza con me». Il mare entra dentro. Scava, tormenta, parla. Rasserena. Le cuccette di una barca sono piccole, anguste e, insieme, accoglienti e avvolgenti. «Non riesco a capire perché il passato non ha il coperchio – sussurra Davide –. Forse perché quando si chiude una porta e se ne apre una nuova, di solito guardiamo tanto quella chiusa da non accorgerci di quella che si è appena aperta». «Chi è detenuto – racconta Gallo – prima o poi esce dal carcere e nel 75 per cento dei casi vi rientra negli anni successivi. Chi invece ha scontato la carcerazione usufruendo di pene alternative, costruendo legami affettivi, relazioni positive e confrontandosi con il mondo del lavoro, solo nel 19 per cento dei casi torna a delinquere. E allora la società può e deve coinvolgersi nel recupero dell’uomo che sbaglia; il che non vuol dire “liberi tutti”… Recuperare i ragazzi che passano nelle carceri italiane – aggiunge – penso sia una sfida possibile. Ed esperienze come questa su Nave Italia aiutano moltissimo. Ci vuole uno sforzo enorme e un enorme lavoro da parte di tutti noi, ma è una sfida da raccogliere e su questa nave mi pare abbiamo dimostrato quanto sia possibile vincerla». Qual è l’immagine più bella che si è portato dietro, gli chiediamo? «Vedere ragazzi che hanno infanzie e vite ferite capaci di rimettersi in gioco come dei bambini». E a conferma di ciò ci allargano il cuore le parole di Maurizio: «Non avevo mai fatto un’esperienza come questa. Provo una sensazione di libertà interiore, nella quale i pensieri, i brutti ricordi sembrano svaniti nel nulla… Ho vissuto molto tempo in solitudine, chiuso in me stesso. Faccio molta fatica ad aprirmi con chi mi sta vicino. Forse ho paura di arrivare a capire chi sono veramente». «Ancora oggi non sono libero dai miei giudizi e pregiudizi – spiega, invece, Renzo a bassa voce –. È che non sono capace di una vera, profonda accoglienza. E questo non mi permette di lasciarmi andare con tutti». Ma, oltre alle riflessioni più intime, c’è anche il tempo dei sorrisi su Nave Italia. Finanche quello di mettere la musica e, sul ponte, fare tutti insieme lo step (ginnastica aerobica a tempo di musica con uno scalino) guidati dal nostromo! Mentre il comandante, Paolo Saccenti, fuma il suo sigaro e osserva divertito. E a tavola, per pranzo e cena, niente posti fissi o tavoli “riservati”: membri dell’equipaggio e ragazzi si mischiano gli uni con gli altri, i dialetti di mezza Italia si fondono insieme, le battute si sprecano. Così sembra che l’equipaggio sia unico e che, come accade solo in barca, ci sia soltanto una squadra: un gruppo di u o m i n i , ognuno coi suoi compiti, senza differenze, che si muovono all’unisono per navigare verso un porto.   

Un’avventura extra-large per “portatori di gioia
di Paolo Cornaglia Ferraris
Direttore scientifico Fondazione Tender To Nave Italia Onlus
 

L’assistenzialismo è cultura del passato. Qualunque sia la disabilità che le persone affrontano, infatti, la loro capacità di tirar fuori nuove risorse, perfino inattese, resta un punto fermo dei più moderni metodi di riabilitazione e inclusione sociale. Su Nave Italia salgono persone fragili, qualche volta perfino avvilite da realtà assistenziali adagiate sulla routine di cooperative sociali poco sostenute da fondi pubblici. Persone che in una settimana di imbarco scoprono dentro se stesse di avere coraggio, di saper fare cose nuove, di imparare, divertirsi, fare equipaggio. Raccolgono i frutti di quanto preparato prima di salire a bordo e li distribuiscono al loro rientro a increduli famigliari, insegnanti, educatori. «Non credevo che Gaetano sapesse fare certe cose». La frase di un’educatrice esperta in ragazzi non vedenti è proprio ciò che sempre più spesso si sente dire da chi realizza un progetto su Nave Italia. Ha il coraggio di elaborare una vera e propria sfida interna al proprio ente, un progetto che permetta ai propri assistiti di realizzare un’avventura “extra-large”. Così l’ha definita un ragazzo autistico, quasi a indicare non solo la comodità di un indumento che non stringe né tira da nessuna parte, ma anche l’abbondanza di stimoli, emozioni e “nuove cose” in cui il progetto elaborato dai suoi educatori lo aveva inserito. Nulla di tutto ciò sarebbe possibile se le Fondazioni riunite nell’Acri non considerassero con sempre maggiore attenzione le proposte di onlus, scuole e ospedali che operano nei loro territori. Alle Fondazioni, infatti, si rivolgono per avere il sostegno economico indispensabile a coprire il 50% dei costi del proprio progetto, dal momento che la Fondazione Tender to Nave Italia riesce a farlo solo per la restante metà. “Insieme avremo buon vento”: nel motto di chi sale a bordo di Nave Italia il senso di una collettività che crede che il mare, la navigazione e la vela rappresentino un contesto talmente bello ed emozionante da mettere in grado chiunque di dare il meglio di sé, prima di tutto a se stesso e a chi, come lui fragile, diventa equipaggio. La Marina Militare anche nel 2013 scioglie le vele per accogliere quasi 400 persone speciali, che qualcuno vuole ancora considerare portatori di handicap, in realtà portatori di una infinita gioia di vivere e di non sentirsi più esclusi.

da “Fondazioni” luglio-agosto 2013