Pittore di Corte e ritrattista, l’artista foggiano Domenico Caldara viene ricordato, nel bicentenario della nascita (1814 -1897), con una bellissima mostra, ricca di circa 70 tele, promossa e organizzata dalla Fondazione Banca del Monte di Foggia, in collaborazione con il Comune, presso la galleria della Fondazione e il Museo Civico di Foggia fino al 17 gennaio. Di profondo valore scientifico, la mostra offre un significativo prospetto della concezione artistica dell’autore e dei modelli di riferimento in voga nella Napoli pre-unitaria, legati ancora al classicismo di Guido Reni e del Domenichino. Le ricerche per realizzarla sono durate oltre un anno e hanno impegnato diversi collaboratori nella consultazione di documenti negli archivi storici di Foggia, Napoli, Lucera, oltre che negli archivi privati dei discendenti di Caldara: un lavoro che ha consentito di ricostruire dettagliatamente la sua attività e ha chiarito alcuni interrogativi che ancora esistevano sulle sorti dell’artista dopo la caduta del regime borbonico. «Non furono solo ragioni politiche a determinare il calo di interesse per l’opera di Caldara», sottolinea Franesco Picca, curatore della mostra insieme a Luisa Martorelli. «Contribuì anche il cambio dei gusti che, negli anni ‘60 dell’800 vide imporsi nuovi canoni introdotti da artisti di valore come Domenico Morelli: non più soggetti stereotipati, di genere storico o mitologico, ma maggiore attenzione per temi sociali e politici legati all’attualità». Fedele alla tradizione dei modelli stilistici accademici appresi nel periodo della sua formazione artistica, iniziata a Napoli nel 1839, e perfezionista del colore, Caldara eseguiva ritratti per importanti famiglie, che gli valsero la stima e la protezione di diversi esponenti della nobiltà e persino di alcuni membri della famiglia reale, grazie ai quali raggiunse l’ambito ruolo di pittore di Corte per i Borbone. Eppure, ricorda ancora Picca, Caldara non fu completamente dimenticato dopo l’Unità d’Italia. Ancora nel 1861 venne chiamato a rappresentare la pittura italiana nella grande esposizione di Firenze. Proseguì anche nella sua attività di ritrattista per la nobiltà e l’alta borghesia e rimase a Napoli fino alla morte, avvenuta nel 1897.